Niente pettegolezzi

Napoli, è uno scudetto alla De Laurentiis: champagne e parsimonia

Vent'anni fa, quasi, incrociammo il patron in Irpinia: allora i partenopei erano appena stati condannati a un altro anno di Serie C dall'Avellino
©Salvatore Laporta
Carlo Tecce
24.05.2025 15:00

Scusate l’aneddoto personale. Era un giorno di agosto, la prima settimana di agosto, un giovedì o un venerdì sera, fresco, però secco, con un vento soffice. La bella estate – per citare Cesare Pavese, che poi è l’ispiratore del titolo di questa rubrica – era parecchio brutta, cupa e turbolenta per Aurelio De Laurentiis. Quella sera di agosto, vent’anni fa quasi scoccati alla perfezione, il patron del Napoli era a Torella dei Lombardi, nel ventre dell’Alta Irpinia, provincia di Avellino, luoghi martoriati dal terremoto e, ancora di più, dalle illusioni post terremoto. 

De Laurentiis era a Torella dei Lombardi – un paesino collinare, l’affascinante Castello Ruspoli Candriano da sfondo, un nugolo di giornalisti annoiati, per nulla curiosi, forse infastiditi, zero tifosi zero – per ricevere un premio alla carriera, un suggello alla carriera di produttore cinematografico, non certo all’ancora acerba carriera di proprietario di una squadra di calcio. De Laurentiis era a Torella dei Lombardi, con una camicia di lino e il solito accento prossimo alla nobiltà, per un premio alla carriera intitolato al maestro Sergio Leone. La famiglia De Laurentiis, come la famiglia Leone, ha origini irpine, proprio di Torella dei Lombardi e l’Irpinia, con la sua squadra nazionale, cioè l’Avellino, a giugno aveva battuto agli spareggi il Napoli di Aurelio. Torella, l’Irpinia, l’Avellino avevano condannato il pluridecorato e ormai pluripremiato Aurelio a un secondo campionato di Serie C, la terza serie, i campi spelacchiati con i palazzi che si affacciano dentro. «Ho la sensazione che qualcuno stia boicottando il nostro ingresso in Serie B, ma noi siamo pronti a difendere gli interessi dei tifosi in tutte le sedi. E così faremo», disse con tono pugnace. 

De Laurentiis ha tirato su il Napoli dopo un fallimento. L’ha preso per circa 30 milioni di euro. Non ha beneficiato di ascensori speciali. Il patron – sostantivo corretto, ha quel piglio, non è un fondo straniero anonimo – ha gettato fondamenta solide. Un piano alla volta. Spesso ha deluso le aspettative dei tifosi, ma alla fine li ha nutriti con diversi trofei e calcio eccellente. Col tempo è cresciuto pure il patron. La sua tavolozza di allenatori è assai varia: Mazzarri, non appariscente; Sarri e Spalletti, innovativi; Benitez, Ancelotti e infine Conte, già con la bacheca folta. Negli ultimi vent’anni, oltre ai due scudetti che hanno permesso al Napoli di superare la Roma nell’albo d’oro, gli Azzurri hanno espresso il miglior calcio d’Italia con Sarri prima e Spalletti poi. Il Napoli ha vinto il tricolore dopo il 3-0 subito a Verona, la spinta del mercato, gli investimenti da decine di milioni di euro, capitali che il patron ha recuperato già a gennaio con la vendita di Kvaratskhelia. Il patron unisce, divide, provoca, disfa e rifà daccapo. Questo non è uno scudetto spettacolare, è certamente meritato, è uno scudetto alla De Laurentiis: champagne e parsimonia. Vent’anni fa a Torella dei Lombardi nessuno ci avrebbe scommesso un sorso di champagne. Figurarsi di Aglianico DOCG.