Calcio

Niente sudore, niente gloria: «Il Bruges è una realtà speciale»

Per due stagioni, dal 2017 al 2019, il difensore ticinese Saulo Decarli ha vestito la casacca della formazione belga - Gli abbiamo chiesto di presentarci l’avversario del Lugano, domani al Letzigrund: «È un trampolino per i giovani talenti, ma punta sempre a vincere»
Il 31.enne locarnese in azione con la maglia della società belga, in uno scatto di qualche stagione fa. © Reuters/Nico Vereecken
Nicola Martinetti
25.10.2023 06:00

L’appuntamento telefonico è fissato per le 9.30. Puntuale, Saulo Decarli risponde al primo squillo. «Abbiamo un po’ di tempo per parlare, poi devo andare - ci dice il centrale dell’Eintracht Braunschweig (2. Bundesliga) -. Pochi giorni fa hanno esonerato il nostro allenatore e oggi abbiamo una doppia seduta d’allenamento». Il momento, per il difensore ticinese, non è insomma dei più felici. Per distrarlo allora, lo invitiamo a farsi una camminata sul viale dei ricordi. Rituffandosi nel biennio 2017-2019, quando per due stagioni aveva vestito la maglia del Bruges. «Quell’esperienza mi è rimasta nel cuore - ci racconta il 31.enne locarnese -. Così come la squadra che domani, al Letzigrund, sfiderà il Lugano».

Simili, ma non uguali

A Decarli, innanzitutto, chiediamo di fare luce su una questione primordiale. «Brugge o Bruges? Anche se vi ho trascorso due anni, non ho ancora capito quale sia la formula prediletta - ci risponde ridendo -. Propenderei per “Brugge” essendo una città delle Fiandre. Ma io, personalmente, usavo la versione francese». Quando lo invitiamo a presentarci la squadra e la realtà in cui opera, la risposta di Saulo si fa più certa. «Premessa: Bruges è una città bellissima, un gioiello. La chiamano la “Venezia del nord” e non è tanto distante dal mare. Lì la passione per il calcio e i “Blauw en Zwart” (blu e neri, ndr) è fortissima. In casa c’è sempre il tutto esaurito con 30.000 spettatori, e anche a Zurigo mi aspetto una folta delegazione di tifosi ospiti. Per quanto concerne il club invece, dovete immaginarvi una società che segue la stessa filosofia adottata dal Lugano, ma a un livello superiore. Mi spiego meglio: il Bruges, di fatto, da qualche anno è un trampolino per diversi giovani talenti in rampa di lancio. Al tempo stesso però rimane un club storico, uno dei più importanti in Belgio. E l’aspettativa nei suoi confronti è sempre e solo una: vincere qualsiasi competizione nazionale a cui prende parte. Non a caso il suo motto è un inno al duro lavoro: “No sweat no glory”, “Niente sudore niente gloria”. È una realtà speciale, dove nulla è frutto del caso».

Nelle stagioni in cui vi ha militato Decarli, in effetti, la rosa annoverava talenti come il marocchino Sofyan Amrabat, il belga Loïs Openda e l’olandese Arnaut Danjuma, per citare alcuni esempi. Tutte promesse poi sbocciate e sbarcate nei migliori campionati europei. A sorprendere, considerate le prerogative, è tuttavia l’abilità evidenziata dal Bruges nel sapersi distinguere non solo in patria, ma pure in Europa. Un esito non scontato, considerato il costante ricambio negli effettivi. «Ormai la società, nel modo in cui opera, eccelle come poche. Penso ad esempio all’Ajax, per fare un paragone calzante. Quando hai così tanto talento per le mani, possono nascere buone cose. Il fatto che poi avvenga realmente è frutto della mentalità societaria. Ribadisco, non vi è solo la volontà di valorizzare il giovane, ma pure di sollevare dei trofei. Persino in Europa».

Un’esperienza bellissima, ma...

Decarli, durante la sua permanenza nelle Fiandre, di titoli ne ha conquistati due: il campionato 2017/18 e la supercoppa dell’anno successivo. Indubbiamente i punti più alti, in un’esperienza altalenante. «Ho giocato 25 partite in due anni, non posso dirmi esattamente felice - conferma il centrale ticinese -. Purtroppo, dopo un’ottima partenza nei primi sei mesi, ho accusato un infortunio al tendine d’Achille sinistro che ha richiesto un’operazione. È stata dura. Fortunatamente, però, ho potuto vivere con grande trasporto entrambi i trofei vinti. Dopo una lunga riabilitazione, quando si pensava che la mia prima stagione fosse già terminata, sono infatti rientrato in extremis, subentrando nel match che ci ha consegnato il campionato. È stato un momento molto speciale e significativo per me. La supercoppa, invece, l’ho conquistata sul campo, da titolare. Nel complesso l’esperienza in sé è stata dunque bellissima, e non ho alcun rimpianto. Anche se forse per certi versi non ha del tutto soddisfatto le mie aspettative». Il caso del primo e unico gettone in Champions League in questo senso, raccolto a Dortmund il 28 novembre 2018, è emblematico: «Sì, quella fugace apparizione nei recuperi racchiude il mio sentimento:le mie aspettative, anche per l’Europa, erano altre. Purtroppo le cose sono andate diversamente. Magari fra qualche anno ci ripenserò con un sorriso, oggi non riesco ancora. Resto peraltro convinto, uscendo dal piano personale, che con la rosa della seconda stagione avremmo potuto sollevare più della supercoppa».

Vecchi amici su ambo i fronti

A proposito di rose, scorrendo l’elenco di quelle del biennio 2017-2019 balza subito all’occhio un dato: soltanto due elementi oggi militano ancora nelle fila del Bruges. Si tratta del difensore Brandon Mechele e del trequartista, nonché capitano, Hans Vanaken. «Rispetto a quando vi giocavo io la squadra si è ringiovanita - rileva Decarli -. Però, nonostante la rosa appaia un filino più corta, dispone ancora di grande qualità. I due giocatori da te citati sono l’anima del club e aiutano a veicolarne l’essenza, i valori. Tra l’altro Brandon è il compagno con cui ho legato di più nei miei anni a Bruges, è un caro amico - oltre che un esempio - e lo sento ancora spesso. Di sicuro gli scriverò in questi giorni. Per quanto riguarda Vanaken, invece, è l’uomo simbolo della società. È l’elemento più forte in rosa. In diverse occasioni sarebbe potuto partire, ma alla fine ha deciso di restare e diventare un’icona del club».

Gli ex compagni presenti domani al Letzigrund, per Saulo, non sono tuttavia confinati alla sola formazione ospite. Nella stagione 2012/13, ad esempio, Mattia Croci-Torti ha disputato una decina di incontri al fianco del centrale locarnese, con la maglia del Chiasso. Per caso il «Crus» gli ha mandato un messaggino, in vista della sfida di Zurigo? «No no (ride, ndr). Ultimamente ci siamo sentiti spesso perché siamo rimasti in ottimi rapporti, ma del Bruges non abbiamo parlato. La sua carriera? Quando sei giocatore è difficile capire chi potrebbe essere un buon allenatore. Nel suo caso, tuttavia, no: era evidente che aveva la stoffa e le giuste qualità. Mi fa piacere vedere che ha già raccolto diversi successi, ma ancora di più che è rimasto fedele a sé stesso, autentico con le sue qualità umane». Da come ne parla, appare impossibile credere che il pensiero di lavorare col «Crus» non abbia sfiorato la mente di Decarli almeno una volta. «A Lugano si lavora alla grande, e non da ieri. Sono ambizioso, e quando c’è una realtà che opera in questo modo è naturale fare certi pensieri. Qualche contatto c’è stato, se ne è parlato, ma non tutte le variabili hanno combaciato. Di offerte concrete non ne sono mai arrivate».

Ridimensionati? Macché

Almeno per ora, dunque, Decarli rimane confinato al semplice ruolo di spettatore intrigato. «Se mi sarà possibile andrò a vedere la sfida in Belgio, ma sono altresì curioso di osservare cosa accadrà già domani. A mio avviso il Lugano ha delle chance concrete di fare risultato. Dopo i playoff di Europa League persi contro il Saint-Gilloise, in troppi hanno etichettato i bianconeri come “ridimensionati”. Il calcio, tuttavia, ti dà sempre una chance per rifarti e dimostrare il tuo valore. E i sottocenerini, nelle prime due partite della fase a gironi, l’hanno colta. Il gruppo resta proibitivo, ma il Lugano ha dimostrato di poter dire la sua e giocarsi la qualificazione».

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