Ora il Marocco ci crede davvero

Che il Marocco sognasse di ospitare il Mondiale del 2030, era cosa nota. L’onda lunga della storica cavalcata dei Leoni dell’Atlante nella recente edizione in Qatar, del resto, non ha fatto altro che accrescere il desiderio di un Paese intero. Peraltro già attivatosi più volte in passato, per aggiudicarsi l’ambita organizzazione della manifestazione. L’annuncio giunto martedì sera, tuttavia, ha comunque parzialmente spiazzato appassionati e addetti ai lavori. Regalando un piccolo colpo di scena. Sì, il Marocco è ufficialmente sceso in campo. Rompendo gli indugi e aggregandosi alla candidatura di Spagna e Portogallo, in un’alleanza dai toni fortemente simbolici. L’entrata in scena del Paese africano, invero, ha però altresì definitivamente eclissato la candidatura dell’Ucraina, che nell’ottobre del 2022 aveva a sua volta accostato il suo nome alle due realtà della penisola iberica. L’inatteso avvicendamento, va da sé, ha suscitato molteplici reazioni. «Eppure, in tutta sincerità, ero rimasto maggiormente sorpreso dalla notizia dell’autunno scorso» ci confida Dario Ricci, giornalista di «Radio24-IlSole24Ore» ed esperto di temi che legano lo sport a storia e politica. «Giustificata sì da quanto stiamo vivendo da oltre un anno a questa parte con il conflitto armato in Ucraina, ma forse meno calzante rispetto alla candidatura marocchina».
Retorica e riflettori
Già. Secondo Ricci, in effetti, l’alleanza annunciata oggi dal Re del Marocco Mohammed VI è giustificata da almeno tre elementi: «In primis la bocciatura incassata dallo stesso Paese africano nella corsa all’organizzazione della Coppa del Mondo del 2026. Un “no” che all’epoca aveva fatto male, ma che ha spinto le parti coinvolte a lavorare ancora più alacremente. Ed infatti, ed è questo il secondo motivo, oggi il Marocco - inteso come movimento calcistico - è molto più strutturato. I frutti, in questo senso, li sta già raccogliendo. Il quarto posto ottenuto in Qatar è lì a dimostrarlo. L’ultimo motivo, infine, concerne la continuità territoriale, a mio avviso affascinante. La quale, tuttavia, rimanda inevitabilmente alle tensioni lungo una delle rotte dei migranti tra le più intense e discusse, quella tra la penisola iberica e la sponda marocchina dell’Africa».
Un elemento, quello geopolitico, citato proprio da Mohammed VI in occasione dell’annuncio di due giorni fa. Il sovrano del Marocco, non a caso, ha già parlato di unione tra Europa e Africa, tra il Nord e il Sud del Mediterraneo. Con il calcio a fungere da punto di contatto tra il mondo arabo, quello africano e quello euromediterraneo. «In questo senso mi preme sottolineare come vi sia un delta ampissimo fra la realtà di tutti i giorni - fatta di migranti, drammi e situazioni che anche altre nazioni d’Europa purtroppo conoscono bene -, e queste affermazioni del Re. Che, in fondo, sono tipiche della retorica politica. Lo sport business, in questo contesto, funge da punto d’incontro. E, a mio avviso, ha anche il potenziale per ergersi a contenitore, nel quale poi inserire della sostanza più seria. Mi spiego: se tre Paesi divisi da temi delicati e differenze culturali, decidono di unire le forze per realizzare un business insieme, vedo più semplice considerare poi questa cooperazione come un punto di partenza per trovarsi su altre questioni importanti. È chiaro però che la volontà politica rimane necessaria. Perché quando i riflettori si spengono, il Qatar ne è un esempio, spesso determinate questioni vengono poi accantonate».
Il tramonto di una suggestione
A proposito di accantonamenti, come detto in precedenza, l’ascesa del Marocco ha definitivamente eclissato la candidatura dell’Ucraina. L’inevitabile naufragio, a pochi mesi dalla sua genesi, di un’iniziativa utopica? «A mio avviso sarebbe ingeneroso definirlo tale - prosegue Ricci -. Così come sarebbe ingeneroso valutare quella proposta in termini eccessivamente dogmatici. Vi sarebbe peraltro un’ampissima parentesi da aprire in merito a come il conflitto tra Russia e Ucraina stia di fatto ridefinendo i parametri e i confini del mondo, compreso quello sportivo. Mi limiterò allora a dire che l’iniziativa avanzata lo scorso mese di ottobre, a conti fatti, più che essere sostanziale ha presto assunto i contorni dell’afflato emotivo. Credo che ora le energie di tutti dovrebbero essere rivolte alla risoluzione di questo conflitto armato. Poi, opinione personale, vi sarà un mondo - sportivo e non - da ripensare».
L’insidia sudamericana
Un mondo che, idealmente, nel 2030 celebrerà un importante anniversario calcistico godendosi il Mondiale del «centenario», a un secolo di distanza dalla prima edizione del 1930 tenutasi in Uruguay. Il Marocco, congiuntamente a Spagna e Portogallo, avrà infine questo onore? «La loro è una candidatura dalla forte valenza emotiva, comunicativa e politica - chiosa Ricci -. Non vi è alcun dubbio. Da questo punto di vista, la vedo più forte rispetto a quella che sarebbe potuta essere una singola candidatura del Paese africano, o a una comunione d’intenti tra nazioni incluse nell’area del Maghreb. Peraltro al momento non tutte propriamente stabili dal punto di vista politico. A mio avviso, ma è un parere personale assolutamente smentibile, nonostante la presenza di ottime infrastrutture in tutte e tre le realtà, inserirei questa proposta al secondo posto in un’ipotetica griglia di partenza. Al primo ci metterei la suggestiva candidatura congiunta di Uruguay, Argentina, Paraguay e Cile. Proprio perché, in maniera poetica ma anche un po’ demodé, andrebbe a riportare il Mondiale laddove tutto era iniziato un secolo prima. Ripeto, sarebbe anacronistico, perché il mondo del calcio è completamente cambiato. Ma anche straordinariamente affascinante. Al terzo posto, infine, metto Egitto, Grecia e Arabia Saudita. Ma attenzione al peso specifico di quest’ultimo Paese: potrebbe anche spostare gli equilibri».