La storia

Pablo Daniel Osvaldo: «Canto di amore, ma non a lieto fine»

Ex attaccante di Roma, Juventus e Inter, Pablo Daniel Osvaldo oggi è un musicista: venerdì 25 sarà a Biasca – «Il mondo del calcio mi aveva stufato, volevo dedicare il mio tempo ad un’altra passione e sentirmi libero»
Pablo Daniel Osvaldo, ex calciatore oggi musicista. (Foto Keystone)
Marcello Pelizzari
15.01.2019 12:32

Di musicisti innamorati del pallone è pieno il mondo, senza necessariamente scomodare «La leva calcistica della classe ‘68» di Francesco De Gregori. Recentemente ad esempio ci siamo imbattuti in un bellissimo pezzo del duo La Municipàl, intitolato «I Mondiali del ‘18». Un brano carico di urgenza e nostalgia, sospeso fra il ricordo del trionfo azzurro in Germania e la mancata qualificazione all’ultima Coppa del mondo («Quest’anno tiferò Islanda»). Le prospettive cambiano quando un calciatore, di punto in bianco, appende le scarpe al chiodo per dedicarsi alla musica. È il caso di Pablo Daniel Osvaldo, ex centravanti di Roma, Juventus, Inter e nazionale italiana, oggi rockettaro. Venerdì 25 sarà a Biasca assieme alla sua band, i Barrio Viejo.

Riavvolgiamo il nastro. Estate 2016, Pablo Daniel Osvaldo è reduce da una parentesi terribile al Boca Juniors ed è vicino al ritorno in Serie A, sponda Chievo Verona. La firma? Una formalità dicono i giornali. Ma qualcosa non torna. Il ragazzo si tira indietro all’ultimo. Annuncia addirittura l’addio al calcio. Ha soltanto trent’anni. «Mi ero stancato di quel mondo» racconta oggi, intercettato fra una data e un’altra del suo tour. «Volevo dedicare il mio tempo ad un’altra passione. La musica».

Già, la musica. Osvaldo non ha mai nascosto di amarla profondamente. Ricordiamo le immagini rubate dalle televisioni negli spogliatoi, prima delle partite. A Roma si sentivano spesso i Rolling Stones. «Sono soddisfatto di come vanno le cose ora, del mio percorso» prosegue il nostro interlocutore, vaga somiglianza con Johnny Depp (un altro amante delle note) e allure da rockstar. «La band cresce concerto dopo concerto. E il secondo disco, in uscita a breve, rappresenta un ulteriore passo in avanti per noi».

I Barrio Viejo hanno alle spalle un lavoro - «Liberación», 2017 – definito fresco dalla critica. Un misto di blues rock ed elementi tipicamente latini. Se prima Osvaldo doveva convincere i tifosi, adesso ha a che fare con giornalisti specializzati e fan. «Sono due mondi diversi, ma in entrambi i casi la gente pretende il meglio da te. Ed è pronta a giudicarti». Diversi eppure uguali, se è vero che l’industria discografica tratta le stelle come il pallone tratta i campioni. «Può darsi sia così» replica Pablo Daniel. «Ma io ho avuto brutte esperienze soltanto nel mondo del calcio, non a livello musicale. Sono nato in un Paese, l’Argentina, che vive di queste due passioni».

In Svizzera, l’esempio più vicino a Osvaldo è Guillaume Hoarau dello Young Boys. L’attaccante francese in una vecchia intervista disse: «Sono felice di vivere e lavorare a Berna, qui non vengo giudicato male perché sono appassionato di musica e suono in una band nel tempo libero». «Il calcio in effetti non ammette distrazioni» spiega Pablo Daniel. «Io ho fatto una scelta di vita. Ora, davvero, mi sento più libero e realizzato». Libero di sognare, comporre e creare. Ma come si sviluppano le canzoni dei Barrio Viejo? «Ogni nostro pezzo ha una storia a sé. Ma di solito i brani arrivano da soli, come si dice in gergo».

Osvaldo si considera un membro dei «Rolinga», sorta di tribù argentina che venera i Rolling Stones. «Assolutamente sì» dice al riguardo l’ex giocatore. Il suo background musicale era merce rara nella Serie A italiana, dominata da ascolti decisamente più commerciali. «Però ho avuto diversi compagni nel corso della mia carriera che condividevano la mia passione per il rock e per il blues. Penso a Cristian Alvarez, ai tempi portiere dell’Espanyol, oppure a Fernando Gago quando giocavamo assieme nella Roma. Ma ce ne sono molti altri». I ricordi di una vita passata fra allenamenti, partite e spogliatoio si accavallano. Una figura rimane centrale. Quella di Zdenek Zeman, considerato un padre da Pablo Daniel. «Lo paragonerei a Keith Richards dei Rolling Stones. Ecco, diciamo che Keith potrebbe essere il boemo della situazione. Pure lui gira sempre con la sigaretta in bocca».

La squadra di Osvaldo si chiama Barrio Viejo, gli spogliatoi sono dei semplici camerini, i compagni di avventura non calciano un pallone ma picchiano sulla batteria o suonano la chitarra. «Siamo un bel gruppo e c’è davvero amicizia fra di noi. Mi ritengo fortunato, perché spesso nelle band o nelle squadre di calcio non tutti i componenti sono amici. Oltre a me ci sono Agustin Blesa D’Angelo alla chitarra, Taisen al Basso e Sergio Branca Vall alla batteria. Ripeto, mi sento davvero libero».

Libertà a livello artistico significa anche poter scrivere ciò che si vuole. Nelle sue canzoni, Pablo Daniel ama affrontare «questioni sociali, ma anche storie d’amore vere. Roba drammatica, non a lieto fine come nei film di Hollywood». Tornando al rapporto fra calcio e musica, l’ex attaccante spiega: «Le mie canzoni magari possono non piacere, però il pubblico che assiste ai concerti mi sembra più tollerante rispetto ai tifosi che vanno allo stadio per una partita di calcio». E il successo? «L’equazione è semplice: se non piaci, la prossima volta la gente non viene a vederti e non si compra il tuo disco. Ho scelto una musica non semplice e sicuramente non commerciale. Però rappresenta il mio modo di essere. Se avessi cercato soltanto il successo economico avrei fatto un altro genere. Ma sarebbe stato come tradire me stesso».

Quando giocava, Osvaldo veniva spesso dipinto come una rockstar maledetta. «E non potete immaginare quanto mi desse fastidio quell’etichetta, anche perché l’Osvaldo dipinto dai giornali era molto diverso dall’Osvaldo reale. La gente che scriveva di me nemmeno mi conosceva. Non si è mai seduta con me per farsi una birra. Anche in questi giorni, mentre sono in tour con la mia band in Italia, sono uscite delle interviste false».

Le stelle polari che guidano la nuova carriera dell’ex centravanti sono «i Rolling Stones, i Doors, Muddy Waters e Howlin’ Wolf». Poi il discorso si fa più personale e si sposta sulla famiglia. «Non ho un mostro sacro del passato con cui mi sarebbe piaciuto suonare. Piuttosto, mi sarebbe piaciuto fare qualcosa con mio padre Raul. Purtroppo ha smesso da alcuni anni, era un chitarrista folk argentino. Resto in famiglia anche pensando ad eventuali collaborazioni future. Mia figlia Victoria suona il pianoforte, il violino e canta. Mio figlio Morrison è un grande appassionato. Il mio sogno, un giorno, è quello di poter condividere il palco con loro». Pensando all’Italia, Osvaldo fa un nome. «Sarò banale, ma il mio preferito è Vasco Rossi. Ho avuto la fortuna di vedere un suo concerto a Bologna, quando giocavo lì. Un’emozione unica. E poi al mio fianco, allo stadio, c’era un altro personaggio che stimo molto. Valentino Rossi».

Ha voglia di parlare, Pablo Daniel. Di pallone, ma soprattutto di musica. «Sicuramente è più difficile imparare a suonare uno strumento che giocare. A calcio, diciamo, sono nato imparato». La vita on the road gli piace molto. «Spostarsi da una data del tour all’altra è sicuramente faticoso, ma adoro viaggiare. Spesso è proprio in situazioni del genere che trovo l’ispirazione giusta». Venerdì 25, appunto, Osvaldo sarà allo YoYo di Biasca. Cosa dobbiamo aspettarci? «Il nostro spettacolo si divide in due parti. Nella prima suoniamo brani più blues e malinconici; nella seconda siamo decisamente più rock and roll». Gli chiediamo se un gol in rovesciata (il segno distintivo di Osvaldo) vale un riff di chitarra. «La differenza fra un bel riff e una bella rovesciata è che il riff non può essere annullato» afferma sorridendo. Il riferimento è ad un’incredibile rete in bicicletta firmata contro il Lecce ai tempi della Roma. Un gol meraviglioso che tuttavia non venne convalidato: il segnalinee infatti si inventò un fuorigioco inesistente.

Nato in Argentina, naturalizzato italiano, Pablo Daniel in carriera ha indossato la maglia azzurra in 14 occasioni (4 reti). «Ma come musicista non mi sento né l’uno né l’altro. Mi ispirano molti paesi, l’arte del resto è internazionale». Libertà, dicevamo. E la morte? Con tutti gli scongiuri del caso, Osvaldo ha già pensato ad una canzone per il suo funerale? «Ho appena compiuto trentatré anni, è un po’ presto per questi pensieri».