Parola all'arbitro di Serie A, anzi no

Gli arbitri potranno parlare dei loro eventuali errori con giornalisti e opinionisti? Che da questa stagione i direttori di gara italiani intervengano a 90° Minuto, la storica trasmissione della Rai, è al momento soltanto una possibilità, ma tanto è bastato per far parlare mezza Italia di svolta epocale, iniziando a polemizzare prima ancora che lo scenario si materializzi. Cosa è successo?
Zebrati alla riscossa
È successo che l’AIA, l’Associazione Italiana Arbitri, presieduta da Alfredo Trentalange, è intenzionata a non subire più passivamente processi mediatici dopo ogni episodio contestato, ovviamente quando il presunto danneggiato è un grande club. Ammesso che di sbaglio si tratti, penalizzare Juventus, Milan, Inter, ma anche Roma e Napoli che nelle redazioni giornalistiche hanno un peso notevole, porta quasi sempre ad un linciaggio senza contraddittorio e l’AIA a questo vuole porre fine.
Le proposte per mostrare gli arbitri in televisione non mancano e fra queste la più interessante era quella di 90° Minuto, che avrebbe fatto interagire gli arbitri non con tifosi beceri o giornalisti faziosi, ma soltanto con Marco Tardelli e Daniele Adani. Insomma, uno spazio per spiegare certe decisioni, a metà strada fra la vecchia moviola della Domenica Sportiva ed il VAR.
La retromarcia
L’AIA ha fatto capire che si poteva fare, ma il mondo del calcio ha paura di ogni cambiamento e quindi è arrivata subito la retromarcia attraverso un comunicato imbarazzato: «L’AIA ha ricevuto molte e interessanti proposte da varie realtà giornalistiche, siamo felici di tutte queste attenzioni ma non abbiamo raggiunto nessun tipo di accordo e valuteremo con tutta la cautela che impone il nostro ruolo se farle o meno nostre. Tutto questo restando forte la volontà, in accordo con la Federcalcio, di comunicare sempre meglio le regole che accompagnano l’operato dei nostri arbitri». In altre parole, qualche timido tentativo con 90° Minuto si farà ma senza prendere impegni: alla prima vera polemica ci sarà lo stop. Appuntamento, se mai ci sarà, dopo le 18 della domenica (la prima occasione utile il 14 agosto, quindi) su Rai 2.
L’esempio di Collina
Al di là delle regole, per sostenere un dibattito mediatico sul proprio operato in campo occorrono arbitri di grande personalità, capaci di ammettere un errore senza per questo perdere credibilità. Per questo viene ancora ricordato Pierluigi Collina, che il 9 marzo 1997 prima convalidò e poi, dopo le proteste dei giocatori juventini, annullò un gol a Ganz in un Inter-Juventus, con allenatori Hodgson e Lippi. Nel dopopartita , dopo avere chiesto il permesso ai suoi capi, andò in televisione a spiegare i motivi della sua decisione. Un’operazione di trasparenza che fu interpretata dai più come una prova di cattiva coscienza, visto che prima di allora nessun arbitro aveva sentito il bisogno di spiegare errori ben più grossi. Così lo show di Collina non ebbe un seguito. Prima di lui ci fu qualche arbitro che aveva in privato spiegato le sue decisioni agli allenatori (oltre a quello di Concetto Lo Bello dopo un Milan-Juventus, famoso l’episodio di Casarin in un Perugia-Genoa del 1981, con Castagner e Simoni, seguito da un rimprovero da parte dei vertici dell’AIA). Perché invocare la trasparenza è facile, ma poi le spiegazioni nessuno le accetta: chi ha beneficiato dell’errore dell’arbitro pensa che in futuro sarà danneggiato, chi lo ha subìto si sente invece preso in giro. La verità fa male anche fuori tempo massimo, come quando l’anno scorso Orsato ammise l’errore della non sanzione a Pjanic per un calcio nel petto a Rafinha in un Inter-Juventus del 2018.
Timidi tentativi all’estero
L’arbitro muto è una consuetudine un po’ in tutto il mondo, nonostante i timidi tentativi fatti in Bundesliga e quelli timidissimi in Champions League. Una consuetudine che resiste anche alla maggior trasparenza portata dal VAR e che spesso viene blindata da un regolamento specifico. Nel caso italiano agli arbitri è vietato rilasciare interviste a qualsiasi mezzo di informazione o fare dichiarazioni pubbliche in qualsiasi forma, salvo espressa autorizzazione del Presidente dell’AIA. Gli stessi possono parlare, previa autorizzazione, soltanto dopo le decisioni del Giudice Sportivo e solamente per chiarimenti regolamentari, non certo per fare il VAR del VAR.
Le regole escludono in ogni caso il commento a caldo, con buona pace di 90° Minuto. La facile previsione è che non saranno cambiate, e che anche se lo fossero gli arbitri davanti alle telecamere sarebbero l’eccezione. Altro discorso è quello della diffusione degli audio delle interazioni fra gli arbitri e la sala VAR, che sarà sempre più frequente. In questo caso non ci sarebbe niente da spiegare, ma soltanto da moderare le parole usandole senza ambiguità. Il futuro immediato nel calcio europeo e sudamericano è questo, sempre meglio che sentirsi chiedere: «Perché non ha dato quel rigore?».
Gli arbitri secondo Casarin
Nel 1983 Paolo Casarin, l’anno prima arbitro al Mondiale, concesse alla Gazzetta dello Sport un’intervista in cui raccontò che tanti arbitri italiani avevano rapporti di lavoro con alcuni club e che su un paio di loro quanto ad onestà non avrebbe messo la mano sul fuoco. Per avere un altro arbitro parlante sarebbero occorsi decenni.