La storia

Paul Gascoigne e gli altri, quando gli ex calciatori si buttano via

Tanti, troppi, ex calciatori di alto livello se la passano più o meno alla stessa maniera di Gazza ma in qualche modo riescono a salvare le apparenze
Gascoigne quando giocava. © Getty Images Europe
Stefano Olivari
20.04.2024 21:30

Perché tanti calciatori e in generale tanti sportivi di alto livello finiscono in povertà senza nemmeno sapere perché? La storia di Paul Gascoigne ha commosso il mondo, anche perché l’ha raccontata lui. Senza farsi sconti. Tanti, troppi, ex calciatori di alto livello se la passano più o meno alla stessa maniera ma in qualche modo riescono a salvare le apparenze. Il fenomeno fa molta più impressione oggi, perché riguarda ex ragazzi che sono stati grandi in un’era già moderna, con la televisione onnipresente, la pubblicità, il marketing, eccetera. Gente che davvero ha sfruttato al massimo la sentenza Bosman.

Gazza

La confessione dell’icona anni Novanta al podcast inglese High performance ha sorpreso meno di altre, visti i problemi con l’alcol che Gascoigne aveva anche da giocatore di Newcastle, Tottenham, Lazio, eccetera, in una carriera che ha toccato il top al Mondiale di Italia ’90 e all’Europeo ’96 in Inghilterra, le classiche occasioni mancate della nazionale dei Tre Leoni con tanto di superclassiche sconfitte con la Germania ai rigori. Poi una vita di alti e bassi, soprattutto bassi, con un invecchiamento precoce e adesso 56 anni che sembrano 76. Gazza, amatissimo e puro working class hero, ha confessato di non avere più una casa e di vivere nella camera degli ospiti della sua agente, ma soprattutto di essere tornato dagli alcolisti anonimi e di avere cambiato anche il suo carattere: da ubriaco allegro e giocherellone a ubriaco triste e depresso. Fermiamoci qui e al consiglio di vita, non di calcio, che gli diede Bobby Robson in punto di morte: «Play well, Gazza, play well».

L'alcol

I problemi di Gascoigne non sono un’esclusiva del mondo britannico, dove l’alcol è una presenza fissa, per quanto negativa, nella formazione dell’identità maschile, per non dire machista. Il più famoso fuoriclasse morto in miseria a 50 anni, distrutto dall’alcol e da sé stesso, è infatti Garrincha. La vera stella del Brasile campione del mondo 1958 e 1962, onorato dai brasiliani più di Pelé, beveva già quando dominava la fascia destra ma fu nel dopo-calcio che la situazione precipitò, saldandosi con mille problemi personali (e 14 figli) e finanziari, aggravati da un carattere da bambino buono, incapace di difendersi dal mondo degli adulti. João Carvalhes, lo psicologo della nazionale brasiliana, ne sconsigliò la convocazione perché di intelligenza inferiore alla media e scarsamente aggressivo. Più meno disse le stesse cose di Pelé… Certo nel dopo-calcio quella divina inconsapevolezza, diciamo pure ignoranza, da arma in più sarebbe diventata zavorra. Nel mondo britannico l’esempio più famoso è quello di George Best, una carriera lunga ma di fatto finita a 22 anni, dopo la Coppa dei Campioni vinta con il Manchester United nel 1968. Da lì in poi un lungo declino, gestito per un po’ in maniera accettabile perché il punto di partenza era molto in alto, ma nel dopo-calcio diventato una caduta verticale: per quello che fu soprannominato «il quinto dei Beatles» trapianto di fegato, infiniti altri problemi e la morte a 59 anni lasciando tanti debiti e anche un frase celebre: «Ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato». L’elenco di casi analoghi sarebbe lunghissimo, anche rimanendo nel calcio di alto livello, da Brian Clough a Tony Adams, rimanendo nell’alcolismo patologico senza sconfinare su chi spesso e volentieri si ubriaca ma poi in qualche modo si presenta agli allenamenti, cioè la maggioranza.

Droga

Per assurdo i calciatori reggono meglio le droghe cosiddette ricreative rispetto all’alcol, almeno durante la carriera, visto che l’antidoping nel calcio è ridicolo e alla fine colpisce soltanto il fai-da-te (ultimo esempio il caso Pogba) e non quello di squadra. In certi casi la situazione sfugge di mano ed è esattamente quanto accadde al più grande di tutti, visto che Diego Maradona iniziò a sniffare cocaina ai tempi di Barcellona, durante lo stop per uno dei gravi infortuni, per proseguire a Napoli, con i gentili e interessati omaggi della camorra, e altrove, entrando e uscendo da cliniche, vedendo ogni tanto la luce grazie ad amici improbabili tipo Fidel Castro, ma poi trovando una morte terribile, prematura e soprattutto tristissima, quasi in solitudine, a 60 anni. Anche l’uso di cocaina, comunque, è stato ufficializzato soltanto in rari casi, da Caniggia a Mutu, visto che con i controlli interni i club più importanti sono quasi sempre riusciti a gestire situazioni gravi, inventandosi di sana pianta infortuni muscolari o di altro tipo, dando quindi al giocatore quei due o tre giorni necessari in media per far scomparire le tracce di quanto assunto. In generale la droga, anche se è strano dirlo, ha rovinato meno calciatori di quanto abbiano fatto l’alcol, i divorzi o le scelte imprenditoriali sbagliate.

Investimenti

La cosa più banale e più giusta che si possa dire è che i calciatori più famosi, e ancora di più quelli meno famosi, finiscono i soldi per la semplice ragione che li spendono a ritmi da calciatori anche a quando sono a fine carriera, mantenendo uno stuolo di parenti, amici e consulenti. La cosa più rovinosa non sono però le spese in sé stesse, anche folli, ma l’improvvisarsi imprenditori o investitori evoluti senza averne il talento e senza sapere che esiste un mondo in cui si lavora per più di due ore al giorno. Metà dei grandi calciatori è passata dal classico ristorante fatto gestire a un amico (variante: la quota di un locale a Ibiza o Formentera) a situazioni più rovinose, come i 7 miliardi (di lire) persi da Roberto Baggio in una fantomatica cava di marmo nero in Perù o i 48 milioni di euro persi da Buffon investendo nella Zucchi, come se per gestire un’azienda tessile bastasse buona volontà. Nel settore investimenti spiccano i 24 milioni che Antonio Conte ha visto volatilizzarsi dopo averli affidati al finanziere Massimo Bochicchio, adesso forse (i creditori erano tantissimi e minacciosi) scomparso. Di culto anche l’azienda che Roberto Mancini e Gianluca Vialli fondarono, ai tempi della Sampdoria, per importare una bevanda brasiliana, il guaranà, ipotizzando che tutta l’Italia la stessa aspettando con ansia, e altri disastri. Christian Vieri è abbastanza oculato, ma con l’amico Brocchi si era a un certo punto inventato grossista di articoli per la casa e per il giardino, riuscendo nell’impresa di perdere 14 milioni. Meno dei 20 buttati nel 2016 da Ibrahimovic con il suo brand di moda A-Z (Non l’avete mai sentito? Ecco la spiegazione) e di quelli magari non rubati ma certo investiti male da tanti sedicenti finanzieri. Chi riesce a schivare tutte queste trappole magari cade con il gioco d’azzardo o con un divorzio rovinoso. Non bisogna generalizzare, perché ci sono tanti vecchi calciatori che stanno bene, ma gran parte degli ex ha buttato via tutto.