La storia

Questa Juventus ha nove vite e deve molto al suo presidente

L’ennesimo scudetto a tinte bianconere conferma la bontà del progetto - Con Andrea Agnelli il club ha triplicato il fatturato diventando un’azienda a livello globale - In Europa soltanto il Celtic e il Ludogorets sono stati capaci di vincere così tanto
L’abbraccio dei giocatori della Juventus. © EPA/Alessandro Di Marco
Marcello Pelizzari
27.07.2020 16:14

I milanisti sorridono: alla fine, ripetono in coro e con un pizzico di rammarico, è tutto merito nostro. Può darsi. Di sicuro, se la Juventus è campione d’Italia da tremila, ininterrotti giorni è perché – all’inizio di questa storia infinita e, per gli altri, stancante – qualcosa nei meccanismi rossoneri si è inceppato. Sul più bello, come spesso accade. E, va da sé, al netto del famigerato gol di Muntari. Ad esempio, se l’allora amministratore delegato Adriano Galliani avesse veramente acquistato Carlos Tevez durante il mercato di riparazione, Massimiliano Allegri avrebbe bissato lo scudetto del 2011 aprendo un nuovo, entusiasmante ciclo a San Siro. E invece no, tanto «Acciughino» quanto l’argentino sarebbero diventati importanti (e decisivi) pochi chilometri più in là. A Torino, appunto.

L’unica cosa che conta

In realtà, nove scudetti di fila non dipendono (solo) dalle disgrazie altrui. È significativo, in tal senso, il fatto che la Juve abbia saputo ripetersi con tre allenatori diversi: Antonio Conte, il citato Massimiliano Allegri e, adesso, il discusso Maurizio Sarri. «Se avete vinto con me siete forti» ha detto, ironicamente, il tecnico toscano ai suoi giocatori durante la festa nello spogliatoio. Consapevole di aver sacrificato il «sarrismo» ammirato a Napoli sull’altare della praticità e del risultato ad ogni costo («Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta» affermò una volta Giampiero Boniperti).

Ed è significativo che questo lungo, virtuosissimo ciclo sia coinciso con la presidenza di Andrea Agnelli e, dall’altro lato, con l’inaugurazione dello Stadium, primo stadio di proprietà a livello italiano. Il nono titolo filato, insomma, si inserisce in un processo decisamente più ampio. Che non riguarda esclusivamente il calcio, ma la trasformazione del club in azienda globale. «Avere una visione oltre il campo da gioco» scriveva, non a caso, il giornalista della «Gazzetta dello Sport» Marco Iaria. Dall’insediamento di Agnelli, pur «bruciando» 170 milioni di euro la Juventus ha triplicato il fatturato portandolo a 459,7 milioni, fra le dieci regine d’Europa, mentre il suo titolo è cresciuto di otto volte in Borsa. Hai detto poco.

E adesso l’Europa

Bene. E gli altri? Già, gli altri. Hanno dormito. Anzi, continuano a dormire. In campo e fuori. Ha deluso l’Inter, nello specifico. Si è persa per strada nonostante un’ottima rosa e intenzioni bellicose. E dire che la Juventus non sembrava una corazzata, a questo giro. Si è persa perché, a ben vedere, si è perso il suo condottiero, quell’Antonio Conte che alla Pinetina avrebbe dovuto fare sfracelli. Poi hanno deluso tutte le altre. Alla fine, la rivale più accreditata si è rivelata essere l’Atalanta. Al punto che viene da chiedersi, un po’ come i milanisti, come sarebbe finita se poche settimane fa i bergamaschi avessero strappato i tre punti allo Stadium al termine di una prestazione maiuscola. Non lo sapremo mai.

Sappiamo, invece, che in Europa soltanto Celtic (Scozia) e Ludogorets (Bulgaria) hanno aperto un ciclo paragonabile a quello bianconero. Il Basilea, per intenderci, in Svizzera si era fermato a otto. Lasciando poi campo libero allo Young Boys, vicino alla sua terza affermazione consecutiva. E chissà, ora la Juventus potrebbe perfino andare a caccia del record assoluto: fra il 1991 e il 2004 rispettivamente fra il 2002 e il 2016 lo Skonto Riga (Lettonia) e il Lincoln Red Imps (Gibilterra) raggiunsero quota quattordici scudetti.

Sarri, il discusso e criticato Sarri, può tirare un sospiro di sollievo. E tentare addirittura il colpaccio in Europa, la sola cosa che manca.

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