Sarà ancora il Grasshopper di Decarli: «L'arrivo di Alain Sutter? Cruciale»

Quando lo raggiungiamo al telefono, Saulo Decarli si trova a Braunschweig, in Germania, dove sua moglie e i suoi figli hanno continuato a vivere nonostante il passaggio al Grasshopper della scorsa estate. «Ora però le cose potrebbero cambiare, ci piacerebbe trasferirci tutti assieme a Zurigo». Il difensore ticinese, d’altronde, ha appena sottoscritto un rinnovo contrattuale di due anni.
Partiamo proprio dalla tua firma, annunciata martedì dalle cavallette. Nelle ore precedenti erano stati ufficializzati sei addii, senza contare la casella destinata all’allenatore, tutt’ora vuota. In questo clima d’incertezza e cambiamento, che effetto fa costituire il primo segnale propositivo e costruttivo in vista della prossima stagione?
«Sono naturalmente contento dell’apprezzamento mostrato nei miei confronti dalla società. Al GC mi trovo bene e avere la possibilità di dare continuità al progetto scelto un anno fa è motivo di soddisfazione e di stimolo».
Dall’esterno, alla luce del brutto campionato alle spalle e della piccola rivoluzione attesa dopo la nomina di Alain Sutter in qualità di direttore sportivo, un rinnovo biennale era tutto fuorché scontato. Oppure non hai mai dubitato del tuo futuro a Zurigo?
«Posso comprendere lo scetticismo percepito esternamente. In verità, però, l’accordo si è concretizzato in modo molto naturale. Ho sempre cercato di dare il massimo e la stima del club dimostra come il mio lavoro si stato apprezzato».
Ma come si è giunti alla firma? Detto altrimenti: in che misura Alain Sutter ha determinato la tua permanenza al Grasshopper?
«Nel precedente contratto figurava una clausola per un’ulteriore stagione, clausola che tuttavia non è scattata. Le discussioni circa il mio futuro al GC, ad ogni modo, erano in corso dal mese di marzo, insomma da prima dell’avvento di Sutter. Il nuovo direttore sportivo, a cui ovviamente spettava l’ultima parola, ha quindi deciso di condividere e sostenere la posizione favorevole assunta dal suo predecessore, Stephan Schwarz. Insomma, la volontà delle parti era chiara. Di qui la mia serenità sul tema».
Personalmente come hai vissuto l’entrata in scena di una figura carismatica come Alain Sutter, icona del GC e investito di una missione per certi versi radicale?
«Quando cambia un direttore sportivo, significa che molte cose vanno sistemate. E soppesate la carriera e la reputazione di Sutter, è inevitabile che determinati equilibri possano venire spostati. Avevo un ottimo rapporto con Stephan Schwarz e ne ho uno altrettanto positivo con Alain, che conoscevo già, avendo in passato cercato di portarmi a più riprese al San Gallo. Il suo impatto sulla squadra è stato fondamentale. Da un lato ha portato tanta energia, dall’altro - e non era semplice - ha garantito calma e pieno sostegno a un gruppo che in diversi momenti si era sentito sfiduciato. Parliamo di una persona che conosce molto bene il calcio svizzero e che, dopo una prima fase di osservazione, ci ha accompagnato nel migliore dei modi verso l’obiettivo salvezza. Insomma, se possibile Sutter mi ha impressionato ulteriormente in senso positivo. Anche perché, si badi bene, la decisione di mettersi in gioco per il Grasshopper - in quella situazione - non era affatto priva di rischi e controindicazioni».
Detto del ruolo decisivo di Sutter, come è misurabile l’influenza della proprietà, facente capo alla franchigia di MLS Los Angeles Football Club?
«Sono spesso presenti a Zurigo, e mi riferisco alla presidente Stacy Johns e al general manager John Thorrington. Per intenderci, non si tratta quindi di personaggi sconosciuti, anzi. Le competenze sviluppate in questi anni e, per esempio, la collaborazione estesa al Bayern Monaco si sono tradotti in diversi trasferimenti interessanti, di cui il Grasshopper ha potuto beneficiare».


Battendo l’Aarau allo spareggio, vi siete guadagnati l’opportunità di affrontare con slancio la nuova stagione.
«Innanzitutto, perché ripartiremo dalla Super League, scenario che negli scorsi mesi non era per forza scontato. Episodi a parte, se siamo arrivati a giocarci la salvezza al barrage significa che i nostri meriti non hanno saputo regalarci di meglio. Ad accompagnarci verso il nuovo campionato dovrà quindi essere l’umiltà. L’assenza, a oggi, di un allenatore? Sono convinto che grazie alle sue grandi competenze, Sutter metterà a disposizione della prima squadra un profilo forte e soprattutto giusto per questo ambiente».
E però che cosa serve al Grasshopper per scrollarsi di dosso l’etichetta di club fragile e smettere di essere messo puntualmente in discussione?
«Sin dai primi giorni di allenamento, andranno gettate delle basi solide. Penso a un’idea di squadra - da completare il prima possibile - e a un’idea di gioco chiara. Le mie ambizioni? Semplicemente riuscire a dare il mio contributo affinché il Grasshopper - un club carico di storia e prestigio - torni a vivere stagioni migliori».
Accennavamo in apertura alle partenze annunciate dal club. Con Giotto Morandi passato al Servette, Saulo Decarli ha perso solo un compagno di squadra talentuoso o anche un amico e punto di riferimento in spogliatoio?
«Oltre al giocatore perdo senz’altro un amico. Abbiamo un bellissimo rapporto, e dopo tanti anni trascorsi all’estero è stato bello creare un piccolo gruppetto ticinese con lui e Nikolas Muci. Da questo punto di vista, il suo trasferimento è un dispiacere. Per Giotto, tuttavia, era arrivato il momento di fare un passo avanti».
Hai menzionato Muci, autore di una stagione molto positiva. Del suo valore aggiunto, sottovalutato a Lugano, sta facendo tesoro il Grasshopper, vero?
«Non mi permetto di commentare le scelte fatte dal club bianconero, ma - assolutamente - non perdo l’occasione per sottolineare l’importanza di Nikolas per il club. Oltre a essere un bravissimo ragazzo, dispone di enormi qualità, emerse prepotentemente nello scorso campionato».


Muci ha raggiunto la Super League in modo graduale, facendosi le ossa nella lega cadetta, con il Wil. Tu, al contrario, hai salutato la Svizzera poco più che ventenne, «scoprendo» il massimo campionato elvetico a 32 anni. Che giudizio dai a questo percorso?
«Beh, ai miei tempi in Ticino non esisteva un punto di riferimento in Super League, a differenza della situazione attuale con il Lugano. Dopo due stagioni e mezza in Challenge, dunque, avevo dato forma alla mia aspirazione di mettermi alla prova all’estero. Ebbene, ho avuto la fortuna di poterlo fare per dodici anni. Ogni giocatore prende le sue decisioni, quelle che reputa migliori per la carriera personale».
A proposito delle tue esperienze in giro per l’Europa. Sei più felice per la promozione in Serie B dell’Avellino, o più triste per la mancata permanenza in Bundesliga del Bochum?
«Entrambe le cose. A dire il vero, però, il risultato che più mi ha fatto gioire al termine dell’ultima stagione è stata la salvezza dell’Eintracht Braunschweig in 2. Bundesliga. Parliamo della mia seconda casa e di tante amicizie coltivate negli anni».
Si è discusso molto circa il livello e la competitività della Super League. Tu che torneo hai trovato?
«Per quanto mi riguarda, ho avuto la sensazione di disputare un campionato di buon livello. Vi sono ottime squadre e ottimi giocatori. Poi, ovvio, dopo tanti anni in ambienti caldi - da un punto di vista del clima attorno alla squdra e del seguito allo stadio - ho vissuto un cambiamento. Che però non mi ha pesato, trovandomi oramai nella parte conclusiva della carriera».
Ecco, appunto: a oramai 33 anni hai sottoscritto un contratto per altre due stagioni al Grasshopper. Saranno le ultime del tuo percorso da calciatore professionista?
«Dopo i 30 anni ho deciso di prendere una stagione alla volta. E di ragionare di conseguenza. Alla luce dei termini dell’accordo, che include anche un’opzione per una terza stagione, immagino tuttavia che, sì, Zurigo possa costituire l’ultima tappa».