Calcio

Schärer 9 anni dopo Busacca: «Ma non facciamo paragoni»

Questa sera al Camp Nou di Barcellona un arbitro svizzero tornerà a dirigere una partita di Champions League - «Designazione meritata a suon di prestazioni, cloni di Massimo però non ne esistono» sottolinea Francesco Bianchi
Sandro Schärer, 32 anni. ©Keystone/Alessandro Della Valle
Massimo Solari
20.10.2020 16:25

In campo internazionale i club elvetici arrancano. Per dire: il solo Young Boys è riuscito a ritagliarsi uno spazio dignitoso in Europa League. La Champions? Figurarsi. Con tutte le conseguenze del caso per il ranking, oramai in caduta libera. A prendersi la scena, questa sera, sarà dunque il rappresentante di un’altra categoria svizzera: quella degli arbitri. Sì, perché a 9 anni di distanza dall’ultima direzione di gara assegnata a un nostro rappresentante, Sandro Schärer fischierà Barcellona-Ferencvaros. «Un incarico meritato a suon di prestazioni» commenta l’ex capo dei fischietti rossocrociati Francesco Bianchi. «Sandro, di cui sono per altro mentore da due anni, negli ultimi mesi ha convinto sia in Europa League sia in Nations League. E Roberto Rosetti, designatore degli arbitri UEFA, ha deciso di premiarlo. Si tratta, è giusto sottolinearlo, di un debutto. Insomma, per confermarsi dovranno seguire altre partite a questi livelli». Bianchi comunque si dice fiducioso: «Schärer ha appena 32 anni e, potenzialmente, una lunga e interessante carriera davanti a sé».

Il fattore semi-professionismo

Per accedere alla fase a gironi di Champions le società investono, scommettendo su una promessa o spendendo milioni per accaparrarsi il campione di turno. Un direttore di gara, invece, cosa deve fare per guadagnarsi un simile palcoscenico? «Di sicuro i soldi non servono» rileva Bianchi. Per poi ribadire: «Le prestazioni rappresentano il lasciapassare principale. Ma cruciali sono altresì le condizioni che possono permettere a un arbitro di progredire. In tal senso l’ASF ha introdotto il semi-professionismo. Che è sinonimo di preparazioni migliori, meno stress e recuperi corretti da un impegno all’altro. Una strategia pagante sul medio-termine. Non a caso l’UEFA ha pure promosso al suo interno un altro giovane arbitro svizzero: Lionel Tschudi, classe 1989. E ciò nel quadro di un cambio generazionale che ha visto e vedrà diversi fischietti di grido farsi da parte».

La pepita rara e la promessa

La designazione di Sandro Schärer, dicevamo, spezza un digiuno che durava dall’8 marzo del 2011. Da quando cioè Massimo Busacca, proprio al Camp Nou, diresse Barcellona-Arsenal. La tentazione di accostare i due fischietti viene dunque spontanea. Bianchi, però, pigia sul freno: «Sono arbitri diversi. Anche perché, banalmente, non credo esistano cloni di Massimo Busacca. L’attuale capo dipartimento arbitri FIFA è un po’ come quelle pepite rare, che hai la fortuna di scovare una volta sola nella vita. Schärer ha uno stile suo, molto elegante e sensibile. In campo internazionale, e ci stiamo lavorando, dovrà vieppiù riuscire a tenere la testa libera da fattori esterni. Parliamo ad ogni modo di un profilo che negli ultimi anni ha conosciuto un’evoluzione molto positiva. Al di là dell’errore che rimane insito nella dimensione umana».

E a proposito di sviste arbitrali. Al netto delle promozioni dei citati Schärer e Tschudi, come sta la classe arbitrale svizzera? Di materiale sul quale discutere ne salta fuori ogni weekend... «È in corso una valutazione di diversi arbitri di Challenge League, chiamati un domani a sostituire i colleghi della massima serie che per una ragione o per l’altra (appagamento, mancati sbocchi internazionali) sono al tramonto delle rispettive carriere. Si sta inoltre ragionando su alcuni interventi a livello strutturale: in futuro vorremmo infatti coinvolgere arbitri ed esperti internazionali in qualità di “tutori” di fischietti attivi in Prima Lega. Così da prepararli e farli emergere prima».

Il rigore dato al Vaduz contro il Lugano non è sbagliato. Il buon senso però avrebbe suggerito altro

Jaccottet sotto i riflettori

No, non ci siamo dimenticati del VAR. Croce e delizia della classe arbitrale. «Ha sicuramente aiutato, in Svizzera come altrove» mette subito in chiaro Bianchi. «Si tratta di un paracadute importante, sul quale non speculare in campo certo, ma che alla fine è in grado di correggere una decisione sbagliata. Chi ha il compito di selezionare i direttori di gara può così puntare anche su profili giovani in occasione di partite di cartello. È quanto sta ad esempio accadendo in Italia sotto Nicola Rizzoli». A ciò - indica Bianchi «va infine aggiunto il grande lavoro di analisi di decisioni ed episodi relativi alle singole partite».

Bene. Tutto molto bello. Sull’operato delle cosiddette giacchette nere e sul ricorso al VAR avrebbe tuttavia da ridire il FC Lugano. Già, sabato sera il rigore gentilmente concesso da Adrien Jaccottet al Vaduz ha mandato su tutte le furie sua maestà Maurizio Jacobacci. E non solo.

«Regolamento alla mano, non si può parlare di rigore inventato o sbagliato» premette Bianchi. «Poi, effettivamente, la punizione è stata molto fiscale. Insomma, il buon senso avrebbe potuto anche suggerire un’altra interpretazione». Corretto, per contro, il mancato intervento del VAR: «Perché il contatto tra il negligente Lavanchy e il giocatore del Vaduz è cristallino. E Jaccottet ravvisa questo». Impossibile, conclude Bianchi, «stabilire invece se il pallone - al momento del fallo - avesse già superato la linea di fondo. I mezzi per appurare tali fattispecie, purtroppo, non ci sono».