Il personaggio

Stéphane Chapuisat: «L’etichetta di figlio d’arte mi è pesata parecchio»

Chiacchierata con l’ex attaccante del Dortmund e della Svizzera – Dopo una vita a suon di reti ora si occupa di scouting e talenti per lo Young Boys
Stéphane Chapuisat, 50 anni a giugno, oggi. (Foto Keystone)
Romano Pezzani
30.03.2019 06:00

Il papà Gabet, difensore rossocrociato, ha lanciato «Chappi» verso la Champions League. «Ma all’inizio ho dovuto lottare per questo privilegio». Oggi l’attaccante da 293 gol scopre i talenti per lo Young Boys.

«Mio papà mi ha trasmesso una grande passione per questo sport, è stato un motivatore straordinario, ma d’altro canto mi ha reso la carriera più difficile perché tutti mi dicevano che giocavo soltanto in quanto figlio di Gabet. All’inizio ho dovuto lottare parecchio per togliermi questa etichetta di dosso».

Stéphane Chapuisat, figlio d’arte appunto, ha superato di gran lunga i successi del padre, anche se l’elegante difensore vodese vanta oltre 300 partite in Svizzera e in Francia, oltre a 34 selezioni in rossocrociato.

I ragazzi ascoltano con entusiasmo

«Considero la mia carriera magnifica – sorride “Stef” – e prendo coscienza soltanto adesso di quanti sogni sono riuscito a realizzare, perché il ritmo di quando giochi è stressante e il tempo per pensare ad altro è veramente limitato».

Oggi è la mente dello «scouting» dello Young Boys e una fetta dello storico titolo dello scorso anno spetta sicuramente a lui. «Non è proprio così, ho la fortuna di lavorare in un ottimo team con il direttore sportivo Christoph Spycher e con il consulente tecnico Gérard Castella, responsabile della formazione e dei talenti».

«Chappi», come sempre umile, allena gli attaccanti gialloneri. «Mi piace formare i talenti – dice – perché ti ascoltano e imparano in fretta. I miei ragazzi sono molto coinvolti e mi gratificano con i loro progressi, non ho bisogno che mi facciano sentire importante per il mio nome».

Ma la carriera resta scritta a caratteri cubitali ed è inevitabile ripercorrere quella scalata con il Borussia Dortmund di Ottmar Hitzfeld sul tetto d’Europa e del mondo. «Il 1997 è stato davvero un anno magico con quello squadrone, vincere la Champions League è il massimo! Ma credo che il sapore della vittoria sia un’emozione speciale in ogni ambito. Per me, ad esempio, ha avuto un significato enorme la qualificazione con la Svizzera ai Mondiali 1994 negli Stati Uniti, dopo 24 lunghi anni che il calcio rossocrociato non raggiungeva un simile obiettivo».

Il grande lavoro di Petkovic

Già, e adesso le partecipazioni consecutive sono addirittura quattro. E pure quattro (su sei) agli Europei. Siamo cresciuti. «Certo, abbiamo lavorato molto bene nella formazione. Inoltre, Vladimir Petkovic è competente. Ho collaborato con lui allo Young Boys e mi piace perché è una persona che sa ascoltare, sempre pronta ad un dialogo costruttivo. Sta facendo un ottimo lavoro e la qualificazione alle Final Four di Nations League ha un valore alto, sebbene la competizione sia nuova». Quante chance avremo il prossimo 5 giugno a Porto di raggiungere la finalissima? «Dipende da diversi fattori» specifica Stéphane Chapuisat. «Primo fra tutti quello relativo agli infortunati di fine stagione. Poi c’è sempre il fattore Cristiano Ronaldo, è spesso decisivo in queste occasioni».

Georgia (in trasferta) e Danimarca a Basilea hanno segnato il nostro debutto nelle qualificazioni agli Europei 2020. «Restiamo chiaramente i favoriti, ma proprio per questo dobbiamo stare attenti alle insidie che il ruolo ci riserva, come è successo martedì scorso a Basilea. Gli avversari (completati da Irlanda e Gibilterra, ndr) non mi impressionano, c’è da essere fiduciosi».

Borussia di nuovo campione?

Il suo Dortmund è sempre in corsa per vincere la Bundesliga. «Ha avuto una flessione, ma ha ancora la possibilità di superare il Bayern Monaco. L’eliminazione dalla Champions League, sicuramente dolorosa, può aiutare la squadra di Lucien Favre a ritrovare la forma di inizio stagione per conquistare il titolo». L’allenatore del cuore resta uno solo. «Ottmar Hitzfeld. Non soltanto perché ho festeggiato con lui i successi più importanti della mia carriera, ma perché è veramente un’ottima persona. È coerente e corretto, semplicemente speciale».

Stéphane Chapuisat segue naturalmente la Super League e il Lugano del suo amico Celestini. «Ho giocato con Fabio in nazionale – sorride – e sono contento che la sua squadra abbia trovato un rendimento positivo soprattutto in trasferta. Tre risultati utili di fila fanno morale, danno fiducia a tutto l’ambiente e confermano che il Lugano ha i mezzi per ben figurare. Xamax e GC sono più lontani e la tranquillità nel calcio è spesso decisiva».

Chapuisat rincorre Bogarde durante gli Europei del 1996 in Inghilterra. (Foto Keystone)
Chapuisat rincorre Bogarde durante gli Europei del 1996 in Inghilterra. (Foto Keystone)

La carica delle 130 leggende

Due icone del calcio svizzero, Heinz Hermann (recordman con 118 selezioni) e Andy Egli (76), hanno fondato nel 2010 il «Club Swiss 4 Football», una nazionale di tutti i tempi che raggruppa oltre 130 tesserati, tutti rigorosamente ex rossocrociati. «Al progetto – precisa Andy Egli – avevano aderito con entusiasmo anche Kubilay Türkyilmaz e Stéphane Chapuisat, che avevano contribuito a raccogliere consensi in Ticino e nella Svizzera romanda. Attualmente la nostra rosa vanta più di 700 selezioni internazionali e possiamo schierare un contingente tra i 16 e i 22 giocatori». I nomi sono di primissimo piano e nella lista si leggono quelli di Marco Streller, Georges Bregy, Murat Yakin, Ciriaco Sforza, David Sesa, Patrick Müller, Adrian Knup, Alex Frei e Lucien Favre. Nutrita anche la schiera dei «ticinesi» capeggiati da Kubi: Tita Colombo, Claudio Sulser, Walter Fernandez, Marco Schällibaum, Ludovic e Joël Magnin, Patrick Sylvestre, Régis Rothenbühler, Massimo Lombardo, Mauro Lustrinelli, Karl Engel, Fabio Celestini, Didi Andrey e Lucio Bizzini. «Club Swiss 4 Football» si prefigge di promuovere la passione per il calcio anche a livello amatoriale, prestandosi per partite di giubileo. «È bello ritrovarsi tra diverse generazioni – sottolinea Stéphane Chapuisat – e giocare semplimente per il piacere di scendere in campo tra amici. Lo spirito di gruppo è molto forte e l’accoglienza dei tifosi calorosa. Appena posso partecipo con entusiasmo agli appuntamenti delle “Suisse Legends”, si rivivono emozioni che non si cancellano mai».