Steve von Bergen: «La Svizzera saprà superare le barriere»

GUIMARAES (dal nostro inviato) - Cinquanta presenze con la nazionale svizzera, due Mondiali, un centinaio di partite in Serie A, oltre 350 in Super League. Steve von Bergen è stato un monumento del nostro calcio. Umile, mai sopra le righe, educato e intelligente, il difensore centrale ha chiuso la sua carriera da un paio di settimane, vincendo il secondo titolo consecutivo con lo Young Boys. Con la fascia di capitano al braccio. Smessi i panni del calciatore, il neocastellano (35 anni) ha intrapreso un’altra carriera, quella di commentatore tecnico per la RTS. «Una sfida che mi piace e mi entusiasma» racconta pochi minuti dopo aver posato cuffie e microfono al termine di Olanda-Inghilterra a Guimaraes.
Signor von Bergen, iniziamo dall’oggi. Come sono andate le prime esperienze da commentatore?
«È un mondo del tutto nuovo, devo ancora capirne i meccanismi. Prima di Portogallo-Svizzera a Porto, mercoledì, ero un po’ nervoso, teso. Bisogna imparare i ritmi, quando e come parlare, trovare il giusto feeling con il telecronista. Insomma, è una lunga strada. Però sono felice. Paradossalmente, a Guimaraes ho incontrato qualche difficoltà in più: Olanda-Inghilterra è stata una sfida meno intensa della prima semifinale di mercoledì, c’erano più tempi morti. Ma tutto sommato è andata, dai. Trovo interessante scoprire un lavoro a me sconosciuto: ora sono passato dall’altra parte. E devo stare attento, perché talvolta dico “noi” al posto di “Svizzera” (ride, ndr)».
Adesso è lei a dover commentare i suoi ex compagni. È complicato?
«Beh, diciamo che non ero abituato a vedere le partite dalla posizione dei cronisti. Rispetto al campo, si notano molti dettagli in più, i movimenti dei reparti, gli schemi. Ma in verità non devo inventarmi chissà cosa: per ora l’unica difficoltà riguarda quando inserirsi per analizzare una determinata situazione».
Scendiamo dalle tribune e andiamo sul terreno di gioco. Che Svizzera ha visto contro il Portogallo?
«Una bella Svizzera, davvero. Fa un po’ strano dirlo quando perdi 3-1, eppure i ragazzi mi sono piaciuti moltissimo. Ho visto intensità, qualità, tecnica. Se dovessi fare un paragone fra la prima e la seconda semifinale del final four di Nations League, beh, non ci sarebbe partita. Portogallo-Svizzera è stato un mondo a parte rispetto a Olanda-Inghilterra. I rossocrociati hanno interpretato benissimo la sfida, proponendo il loro calcio. Le azioni sono state costruite quasi sempre a partire dalla difesa, ci sono state tante occasioni. Ecco, ho notato l’atteggiamento giusto. È mancato qualcosa negli ultimi metri, lo riconosco. E purtroppo dall’altra parte del campo c’erano due fenomeni come Cristiano Ronaldo e Bernardo Silva, due che a livello offensivo sono impareggiabili. In generale, al netto della sconfitta, sfide come questa hanno il potere di farci crescere ulteriormente. La Svizzera ha compiuto passi notevolissimi negli ultimi anni, è migliorata sotto tutti i punti di vista. La partita contro il Portogallo rientra in questo processo di costruzione della squadra».
Domenica a Guimaraes (ore 15.00) c’è la finalina contro l’Inghilterra, valida per il terzo posto finale. Possibilità?
«Tante, a mio avviso. Se la nazionale svizzera giocherà come mercoledì, potrà sicuramente battere gli inglesi».
Cosa manca alla selezione di Petkovic per superare le partite decisive?
«Si è discusso tantissimo di questo aspetto, forse in maniera eccessiva. Tutti sanno che è così, e tutti si aspettano un risultato finalmente diverso. Ma i giocatori non sono influenzati da questo aspetto, ve lo garantisco. Anche perché nel recente passato la Svizzera ha dimostrato di saper battere squadre fortissime in match importanti: penso al Belgio, ad esempio. Poi è chiaro, ai Mondiali in Russia siamo stati eliminati dalla Svezia. Però non importa, i rossocrociati devono continuare a crescere, seguendo questa via. Sempre più ragazzi della nazionale giocano nei grandi club europei. Un processo che sembra inarrestabile. E questo comporta una maggiore esperienza da parte dei leader anche in partite decisive. Nei prossimi anni o mesi, mi aspetto di assistere a una vittoria della Svizzera in una sfida da dentro o fuori».
Torniamo a lei. La preoccupa un futuro senza calcio?
«Beh, diciamo che non sono rimasto lontano per molto tempo visto che sono di nuovo qui, in uno stadio, a distanza di pochi giorni dalla mia ultima partita della carriera. Al di là delle battute, no, non sono preoccupato da ciò che mi aspetta. Ho la fortuna di avere la certezza di lavorare ancora in questo ambito. Oltre al ruolo di commentatore tecnico per la RTS, tornerò allo Young Boys per seguire i giovani talenti. Dunque no, non sono preoccupato. Ovviamente mi mancheranno parecchie cose del calcio giocato: lo spogliatoio, i momenti precedenti una partita, i compagni. Cose che ho vissuto per venti lunghi anni. È normale, bisogna abituarsi: al momento quando mi alzo al mattino mi sento ancora un calciatore professionista. Poi realizzo che non è così. Ci sono tante piccole cose a cui ora non devo più badare, come andare a letto presto la sera. Mi capita di guardare l’orologio è dire ‘‘accidenti, è tardissimo’’, oppure di forzarmi a non mangiare troppo. Devo solo trovare dei nuovi ritmi di vita. Lo so, servirà un po’ di tempo. Dopo 19 anni di professionismo, ho bisogno di far sedimentare tutte le cose che ho fatto nel corso della carriera. E di rendermi conto fino in fondo che non sono più un giocatore di calcio».