Le voci

«Tanto cambierà ma questa vittoria rimarrà eterna»

Euforia, orgoglio e commozione tra i tanti protagonisti dell’impresa bianconera a Berna – Bottani: «Sono cresciuto accanto allo stadio, regalare questo successo alla mia gente è il massimo»
Nicola Martinetti
15.05.2022 21:01

Le lacrime, che sei anni fa rigavano il volto di uno sconsolato Mattia Bottani, non ci sono più. Nei suoi occhi, di quel terribile e tormentato grigio pomeriggio del Letzigrund, non si scorge nemmeno l’ombra. Sì, ha fatto pace con il suo passato, il «Pibe». E con lui il Lugano tutto. Capace di prendersi la più dolce delle rivincite, sublimando un percorso costellato di gioie e dolori. Lasciandosi definitivamente alle spalle quei fantasmi che a lungo avevano alimentato incubi e rimpianti. «La sentivo, eccome se la sentivo questa finale - ci confessa il numero dieci bianconero, il figlio della città -. Non tanto nei giorni precedenti il match, quanto piuttosto al momento di entrare in campo. D’altronde, di fronte a un muro di diecimila bianconeri pronti a trascinarci verso l’impresa, non poteva essere altrimenti. Sì, abbiamo avvertito il peso di un cantone intero, della nostra gente. Ma in campo, paradossalmente, questo ci ha sbloccato. Abbiamo giocato con la mente libera. Eravamo in missione e l’abbiamo portata a termine con successo. È pazzesco essere riusciti a conquistare questo trofeo».

Avevo promesso che a Berna avrei segnato il mio gol più importante, ora sapete che sono un uomo di parola
Zan Celar, attaccante FC Lugano

Due leggende nell'Olimpo

Per il «Botta», una vita o quasi con i colori bianconeri tatuati addosso, è il giorno della consacrazione. Dell’entrata, di diritto, nella leggenda del club sottocenerino. «Sono cresciuto a cinquecento metri dallo stadio, questa è la mia città. Poter godere di questa impresa con i nostri tifosi, con la nostra famiglia, è la vittoria più grande. Finché ne avrò, continuerò a dare tutto per questi colori. Poi starà ad altri decidere quale ruolo attribuirmi, all’interno della storia».

A Berna, lì nell’Olimpo bianconero, accanto al «Pibe», ci è entrato anche capitan Sabbatini. Dieci anni di battaglie con la fascia al braccio, prima di sollevare la Coppa più bella di tutte. «E dire che io, qui, avrei anche potuto non esserci - rileva il centrocampista uruguaiano -. Dodici mesi fa, infatti, ero vicinissimo a lasciare il club, siccome non rientravo nei piani della cordata italo-brasiliana che aveva temporaneamente preso le redini della società. Ripensare oggi a quei momenti, vedendo come sono andate le cose, mi fa venire i brividi. Questa vittoria è un premio a tutte le persone che in qualche modo hanno dato la loro impronta a questo anno di transizione. Penso alla vecchia dirigenza, a coloro che per anni hanno portato avanti la baracca. Ma anche alla nuova proprietà. Nei prossimi mesi tante cose cambieranno. Perderemo figure che per anni hanno costituto parte integrante di questa squadra. Ma questa vittoria, beh, resterà per sempre. Eterna, indelebile. E al piccolo Ticino, costretto a farsi largo tra i giganti d’oltre Gottardo, nessuno la porterà mai via».

La sofferenza del gigante

A proposito di giganti, quello bianconero per antonomasia, Mijat Maric, al Wankdorf si è dovuto accontentare di seguire il confronto da bordo campo. Tarantolato, a tratti ingestibile. Noncurante di un tallone che gridava pietà. «Visto quanto ho sofferto la partita e quanto mi sono mosso, quasi quasi avrei anche potuto giocarla alla fine - ci confida ridendo -. Scherzi a parte, non abbiamo mai avuto dubbi. Questa squadra ha un carattere pazzesco. Ogni uomo dentro il nostro spogliatoio era sicuro e convinto che la Coppa sarebbe tornata in Ticino. Anche dopo il momentaneo pareggio di Maglica. E così, alla fine, è stato. Ora è tempo di festeggiare, ma prima o poi mi servirà anche un massaggio (ride, ndr)». Di futuro invece, almeno per il momento, il veterano bianconero non vuole ancora parlare. «Dopo questo successo, un’eventuale ritiro lo accoglierei con grande serenità. Davvero. Ma ci sarà tempo e modo per rifletterci con tutta calma».

Prima di partire volevo regalare un trofeo a questa splendida società, sono fiero di questo gruppo così unito
Sandi Lovric, centrocampista FC Lugano

La ciliegina sulla torta

Tra i bagordi, facendosi portavoce della dirigenza, è emerso anche il CEO bianconero Martin Blaser. Che, perdendo per un attimo il suo impeccabile aplomb, ha elargito complimenti a destra e a manca, abbracciando i protagonisti di un successo storico. Il primo di molti, si spera, sotto la gestione della nuova proprietà statunitense. «Da Chicago ci hanno seguiti tutti e stanno facendo festa grande. Joe Mansueto in primis - ci assicura Blaser -. Questa è la classica ciliegina sulla torta, in una stagione oltremodo positiva. E non posso fare a meno di tornare indietro di qualche mese, ripensando alla scelta di affidare questa squadra a Mattia Croci-Torti. Nei suoi occhi avevamo visto la giusta luce, e non ci siamo sbagliati. Ora ci attendono tante nuove sfide, compreso il ritorno in Europa. Ma le accogliamo con grande orgoglio, quello di chi ha saputo scrivere la storia».

Sfide che, in un modo o nell’altro, ricadranno anche sulle spalle del COO bianconero Michele Campana e del suo encomiabile staff. Il quale la sua finale, in fondo, l’aveva già vinta prima delle 14 di domenica, portando a Berna quasi diecimila tifosi. «È il coronamento di un percorso iniziato nel 2015, con la promozione in Super League. All’epoca eravamo una società quasi dilettantesca. Non avevamo nulla. Io sono convinto che le cose, nella vita, non accadono per caso. A Zurigo, nel 2016, avevamo perso perché non eravamo ancora pronti. Maturi. Siamo cresciuti piano piano, con Angelo Renzetti che ha resistito finché ha potuto. Tagliando traguardi importanti, tornando in Europa. Questo trofeo chiude un cerchio. Regalando una gioia che in Ticino mancava davvero da tanti, troppi anni».

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