Tra le grandi d’Europa la politica non manca mai

Dieci episodi solo nella fase a gironi. Dieci multe distribuite dalla UEFA ad Albania, Serbia, Ungheria, Romania, Danimarca, Slovenia e, sì, pure Svizzera. In occasione del match contro la Germania, alcuni individui presenti nella curva rossocrociata si sono infatti macchiati di messaggi inadeguati al contesto sportivo. A costare all’ASF una sanzione di 15.000 euro, nel dettaglio, è stata l’esposizione di una bandiera con lo stemma dell’UÇK, l’Esercito di liberazione del Kosovo, organizzazione paramilitare kosovaro-albanese inserita nel 1998 nella lista ONU delle organizzazioni terroristiche.
Negli ottavi di finale la musica non è cambiata. A far discutere, nelle ultime ore, è stato il gesto di Merih Demiral, autore del tradizionale saluto dei «Lupi grigi» a margine della sfida da dentro o fuori vinta dalla sua Turchia contro l’Austria. Il richiamo a un movimento estremista e nazionalista di destra, guarda caso vietato nel Paese avversario, ha suscitato aspre reazioni. In Austria, per l’appunto, sono state chieste pene esemplari ai danni del difensore. Il ministro dell’Interno tedesco, Nancy Faeser, ha da parte sua sottolineato come «usare il palcoscenico degli Europei per dare spazio al razzismo sia inaccettabile». La Turchia, per contro, ha definito «inaccettabile» l’inchiesta aperta dalla UEFA per «un simbolo storico e culturale, utilizzato in un modo che non attacca nessuno».
Demiral fuori per due partite
Detto, fatto. Demiral è stato squalificato per due partite. Già, peccato che il diretto interessato non sia parso particolarmente disturbato dal fatto di poter saltare uno dei match più importanti della carriera. «Sono contento di aver compiuto il gesto per indicare l’identità turca. L’ho fatto perché sono fiero di essere turco. Ho visto che i tifosi lo facevano e ho voluto rispondere loro». Anche Euro 2024, dunque, sembra ostaggio della politica. Dei suoi messaggi. Delle sue pericolose derive. Jean-Michel De Waele, professore in scienze politiche all’Université libre di Bruxelles non è sorpreso.
«Il torneo sta mostrando molto bene le contraddizioni presenti nelle società europee. Da un lato osserviamo realtà che cercano di resistere all’insorgere dei movimenti di destra, di un razzismo ordinario nelle parole e nei comportamenti. È il caso di buona parte dei giocatori francesi, di individui quindi, non della Federazione in quanto istituzione. Dall’altro si fanno largo i nazionalismi e i sentimenti ad essi legati, sia tra i tifosi, sia tra chi va in campo, come dimostra il caso Demiral. Una volta di più, abbiamo quindi la prova che il calcio - e lo sport d’alto livello più in generale - non può proteggersi dalla politica. L’apoliticità, proclamata e difesa a lungo dalle autorità sportive, cozza con la realtà dei fatti. Con il desiderio dei singoli di esprimere la propria posizione. La parola si libera e i social media tendono ovviamente a rendere il dibattito più acceso. E persino incontrollabile».
Un’impressione sbagliata
Non tutto, però, può essere incanalato nella direzione auspicata. Ieri, a ridosso del II turno delle legislative, Kylan Mbappé è tornato a rivolgersi ai suoi concittadini: «Andate a votare, non lasciate la Francia a quelli là». De Waele, in merito, puntualizza: «Ho l’impressione che fra gli intellettuali e le élite progressiste persista la speranza che i calciatori abbraccino senza esitare idee di tolleranza, democrazia, equità. Quasi fossero ambasciatori di virtù morali e filosofiche, pronti a migliorare la salute del mondo. Ebbene, personalmente non sono di questo avviso. Parliamo di celebrità, di persone adulate dai tifosi, ma non per questo di figure in grado di indossare altri panni su comando. A maggior ragione alla luce di un ambiente - quello dello sport di punta - che mi pare tendere a destra. Perché si tratta di competizione, di forza, di superamento dei propri limiti, di soldi a palate. Sono certo che vi sono pure giocatori dei Bleus che votano Le Pen. Semplicemente preferiscono tacere».
Identità e alterità
Jean-Michel De Waele cita l’esempio del Brasile, con diversi elementi verdeoro schierati a favore di Jair Bolsonaro alle presidenziali del 2022. Il professore belga utilizza il termine «droitisation», riconducendo il fenomeno «all’incapacità - sul fronte opposto - di fornire delle risposte adeguate a una parte delle popolazioni europee che è inquieta e angosciata dalle sfide del nostro tempo. Ecco, temo che la stessa dinamica possa crearsi - o si stia già creando - attraverso il calcio».
Marlind Daku, attaccante dell’Albania, era per esempio stato squalificato per due turni a seguito dei cori nazionalisti contro Serbia e Macedonia del Nord intonati con un megafono subito dopo la sfida pareggiata con la Croazia. «Per molti le identità si creano nell’alterità» non smette di sottolineare De Waele. E a suggerirlo in tempi non sospetti era stato pure il grande storico e intellettuale Eric Hobsbawm: «Una comunità immaginaria di milioni di persone sembra più reale nelle sembianze di undici giocatori di cui conosciamo il nome». L’impressione, inoltre, è che un Europeo possa esasperare ancor più di una Coppa del Mondo divisioni e ideologie. Nonostante il terreno comune. Nonostante vi siano delle eccezioni, e pensiamo all’Inghilterra non scalfita dalle elezioni nel Regno Unito. «Ai Mondiali - indica ad ogni modo De Waele - partecipano anche Paesi per i quali è impossibile immaginare delle prese di posizioni forti da parte dei giocatori. Perché si tratterebbe di attaccare regimi politici inflessibili, con tutte le conseguenze del caso per sé e la propria famiglia. Di più: se i tornei in questione vengono organizzati in Russia o Qatar non si facilita di sicuro la libertà di espressione». All’opposto, quindi, i Campionati europei si rivelano «spazi più propizi per reazioni e discussioni di natura politica» aggiunge De Waele. Per poi concludere: «La politicizzazione dello sport avanza a una tale velocità che qualsivoglia grande evento futuro farà ancor più fatica a emarginare scontri e strumentalizzazioni. A partire, va da sé, dagli imminenti Giochi di Parigi».