Il ricordo

«Tutto molto bello»: addio allo stile e alla voce senza enfasi di Bruno Pizzul

Il giornalista italiano si è spento a 87 anni: ex calciatore semiprofessionista ha raccontato le gesta della nazionale italiana dal Mondiale del 1986 a quello del 2002, senza mai esclamare «siamo campioni del mondo»
© Reuters
Stefano Olivari
06.03.2025 06:00

Il telecronista delle partite della Nazionale in quasi ogni Paese è un’istituzione, prima ancora che una persona. Per questo la morte di Bruno Pizzul a quasi 87 anni ha colpito tutta l’Italia, per lo meno tutta l’Italia che dal Mondiale 1986 a quello del 2002 ha seguito gli azzurri accompagnata dal suo racconto tranquillo e privo di enfasi, un tono che in realtà ai tempi di Pizzul era quasi la norma (Carosio a parte), al punto che ancora negli anni Ottanta o Novanta i commentatori sudamericani venivano derisi mentre oggi sembrano piccoli lord se confrontati a quelli di una media pay-tv europea.

Centromediano

La storia di Pizzul è un po’ diversa da quella del giornalista ‘di una volta’, qualsiasi cosa voglia dire, visto che lui nasce nel suo Friuli come calciatore, nella Cormonese, prima di passare alla Pro Gorizia e diventare semiprofessionista con Catania, Ischia, Udinese e Torres, studiando fino alla laurea in giurisprudenza. Diverso anche dal calciatore ‘di una volta’, quindi. Poche partite memorabili, nel ruolo di centromediano, dove all’epoca vengono messi quelli grossi come lui, e un grande infortunio: trova posto come insegnante di lettere in una scuola media, prima di vincere nel 1969, quando ha già 31 anni, un concorso RAI riservato al Friuli e trasferirsi di lì a poco a Milano. Pizzul non ha insomma il fuoco sacro del giornalismo, ma conosce il calcio meglio della maggior parte dei suoi nuovi colleghi e sa anche raccontarlo in maniera naturale, senza rifarsi a modelli.

Messico 1970

È già in RAI quando, al Mondiale messicano del 1970, avviene una svolta epocale: Nicolò Carosio, radiocronista e poi telecronista degli azzurri fin dagli anni Trenta, viene accusato di avere insultato il guardalinee etiope di Italia-Israele per un gol annullato a Gigi Riva. Non è vero, come verrà provato decenni dopo, ma il sospetto è il pretesto per il cambio della guardia. In Messico per la RAI ci sono anche Nando Martellini, Giuseppe Albertini e appunto Pizzul, scelto a sorpresa: la curiosità è che Albertini, Martellini e Pizzul sono per così dire in condivisione fra RAI e TSI. Il caso Carosio diventa incandescente e al suo posto il titolare diventa Martellini, con Pizzul che sta al suo fianco in silenzio passandogli informazioni e statistiche. Quanto ad Albertini, si dedicherà quasi totalmente alla TSI e in seguito anche a Canale 5.

La popolarità dalla moviola

È però grazie alla moviola che Pizzul diventa popolarissimo. Sì, perché dalla stagione 1970-71 la Domenica Sportiva mostra gli episodi contestati della Serie A, generando polemiche incredibili visto che il Programma Nazionale (l’odierna Rai 1) è uno dei due soli canali televisivi a disposizione degli italiani, tre per quelli del Nord che guardano la TSI. E la moviola viene commentata proprio da Pizzul, che poi si alternerà con Carlo Sassi prima di lasciargli definitivamente il posto, scegliendo le telecronache ed evitando gli attacchi di Juventus e Napoli, che considerano Pizzul troppo milanese, anche se non è certo un tifoso di Inter o Milan. Semmai da piccolo ha simpatizzato per il Grande Torino di Valentino Mazzola, come è logico per un bambino italiano nato nel 1938. Di sicuro dalle sue telecronache non trasparirà mai tifo per un club e anche quello per l’Italia sarà molto sfumato. In certi casi si noterà comunque più partecipazione, soprattutto per la Nazionale di Azeglio Vicini, suo amico personale. La squadra delle notti magiche di Italia ’90 che perderà ai rigori la semifinale con l’Argentina di Maradona. Una maledizione, i rigori, visto che Sacchi e Maldini perderanno così la finale del ‘94 e i quarti di finale del ‘98. Una maledizione anche per Pizzul, per carattere lontano dal carrierismo (e infatti non diventerà mai un capo), che come unico rimpianto ha quello di non aver raccontato un Mondiale vittorioso: lui c’è stato nei cinque fra i trionfi azzurri del 1982 e del 2006, quasi una beffa.

La città

Milano è stata centrale nella vita di Pizzul fin dagli anni Settanta, vissuti insieme (tranne che di notte, per carattere e per i ritmi insostenibili dell’amico) a Beppe Viola. La casa in via Losanna, a due passi dagli studi RAI di Corso Sempione (Pizzul non ha mai guidato in vita sua), i ristoranti frequentati da allenatori e calciatori che erano ben diversi da quelli del 2025 al di là di tutti gli aspetti collaterali e che cementavano amicizie (nel suo caso con Nereo Rocco e Giacinto Facchetti), i 3 figli e gli 11 nipoti che qui vivono, tutti ben lontani dal calcio. Pizzul ha vissuto la metropoli come avrebbe vissuto il suo paese, senza frenesia e con il tono giusto, e soltanto da pensionato è tornato in Friuli insieme alla moglie Maria.

La tragedia dell’Heysel

Il momento più difficile della carriera è stato l’Heysel 1985, finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool. Nella confusione generale si sapeva degli incidenti ma non c’erano certezze sui morti, così Pizzul in mancanza di istruzioni, scelse un tono asettico, quasi notarile, che non gli apparteneva. Di solito pur senza esagerare cercava di alleggerire il racconto con qualche espressione che gli è rimasta attaccata («Tutto molto bello», «Ha il problema di girarsi», «Grappolo di uomini», «Cincischia», «Ed è gol!») e senza entrare troppo nel tecnico, nonostante la competenza per farlo. Meno competente era sui calciatori che non giocavano in Serie A, anche su quelli famosi: questa la principale critica a Pizzul, visto che nell’era pre-internet al pubblico mancavano anche le informazioni di base.

Il giornalismo fatica ad abbandonare anche chi non ha il fuoco sacro: così è stato anche per il Pizzul post 2002, che in pensione davvero non c’è mai stato. Da Gioco Calcio a DAZN, passando per La7, radio, pubblicità, serate a commentare il presente (era un nemico della telecronaca a due voci, anche se ne ha fatte tante) e a ricordare il passato, vissuto come gli ex presentatori del Festival di Sanremo. Male, quindi, sia pure in casi come questo con il filtro della cultura e dell’ironia. Pizzul ha raccontato l’Italia per 16 anni, in televisione esattamente come Carosio (in Italia trasmissioni ufficiali solo dal 1954) e Martellini, più di tutti gli altri.

Non ha gridato ‘campioni del mondo’ ma è comunque stato tutto molto bello.