Calcio

Un cuore che batte per le origini: ecco il Mondiale del Lugano

Nella sua organizzazione, oltre ovviamente agli svizzeri, il club bianconero annovera esponenti di altri undici Paesi la cui selezione prenderà parte al torneo in Qatar – Con loro abbiamo parlato di sogni, dubbi e speranze legate alle rispettive nazionali
Il club sottocenerino adatterà gli orari di alcuni allenamenti per poter seguire i match dei Mondiali, nonché le gesta di Renato Steffen e Xherdan Shaqiri. © CdT/Gabriele Putzu
Nicola Martinetti
17.11.2022 06:00

Il Lugano tornerà in campo venerdì 2 dicembre. Dopo quasi tre settimane di vacanza, giocatori e staff tecnico ricominceranno a calcare l’erba di Cornaredo, nella prima di più fasi di avvicinamento alla ripresa del campionato. Quello stesso giorno, alle ore 20, la Svizzera di Murat Yakin concluderà la sua fase a gironi ai Mondiali in Qatar affrontando la Serbia. Gli occhi dei bianconeri, va da sé, saranno incollati al televisore. Nella speranza di vedere all’opera il loro compagno Renato Steffen, ma anche Xherdan Shaqiri. «D’altronde non appena inizierà il torneo, nel nostro spogliatoio non si parlerà d’altro - ci racconta il tecnico dei sottocenerini, Mattia Croci-Torti -. Fra l’entusiasmo e le delusioni che solo questo torneo sa regalare, vivremo tutti dei giorni intensi. In virtù del contemporaneo svolgimento del torneo, adatteremo l’orario di qualche seduta d’allenamento per poter assistere ai match ai quali teniamo di più. Anche perché diversi giocatori vorranno seguire le gesta dei loro connazionali». Già, proprio così. In effetti a Cornaredo, oltre ovviamente a quella rossocrocrociata, vi sono altre undici nazionalità rappresentate alla manifestazione nell’emirato. Nelle prossime settimane, insomma, lo spogliatoio del Lugano vivrà il suo personalissimo «Mondiale bianconero». Abbiamo tastato il polso dei diretti interessati, per capire quante e quali speranze potranno nutrire le loro selezioni, in vista del torneo.

Gli «avversari» della Svizzera

Ad aprire le danze, considerando che per lui la serata del 2 dicembre avrà un significato ancora più speciale, è Boris Babic. L’attaccante svizzero di origini serbe, a scanso di equivoci, sotolinea che tifa per entrambe le nazionali. «Ma siccome in questo contesto devo parlare della selezione di Dragan Stojkovic, posso dirvi che merita grande considerazione. Si è qualificata direttamente al Mondiale, obbligando il Portogallo a passare dai playoff. Il gruppo attuale, a mio avviso, è più giovane e più forte rispetto a quello che quattro anni fa in Russia, peraltro anche allora opposto a Svizzera e Brasile, non riuscì a superare la fase a gironi. Mi sbilancio: per me può addirittura approdare in semifinale». Tanto dipenderà dall’esito del match contro i rossocrociati, delicato per più motivi:«Credo che i fattacci di Kaliningrad siano ormai superati. Forse all’esterno se ne parlerà ancora, ma sono convinto - avendone discusso con alcuni di loro - che i giocatori penseranno solo ed esclusivamente alla partita».

Per quanto riguarda il Camerin, in casa bianconera non vi è alcun esponente. L’onere di completare il giro di opinioni sul gruppo G, allora, ricade sulle spalle del giovane Noah De Queiroz. Che senza timore soppesa le chance dei verdeoro di Tite: «La prima grande arma della Seleção è proprio il suo ct - spiega il difensore ticinese di origini brasiliane -. Ha un’influenza estremamente positiva sulla squadra, alla quale trasmette grande fiducia e serenità. Quasi come un padre. Lo si vede peraltro molto bene nella serie tv prodotta da Amazon “Tudo ou nada”, che mostra dall’interno il cammino del Brasile alla Copa América del 2019, vinta dai verdeoro. C’è insomma un motivo se sotto la sua guida la selezione ha fin qui fatto così bene». E Neymar? «Nel 2014 e nel 2018 tutto il Paese si era aggrappato a lui, che sulle spalle portava - e porta tuttora - il numero 10. Questa volta è diverso: al suo fianco ha dei compagni molto validi, che possono sostenerlo e dividere l’onere della pressione che inevitabilmente graverà su tutta la selezione. In fondo devono spezzare un digiuno che dura ormai da vent’anni».

I sudamericani

In America del Sud non vi è però soltanto il Brasile a nutrire grandi ambizioni. Anche l’Argentina, a secco dal 1986, intende rimettere le mani sul trofeo più ambito. Anche e soprattutto perché quello in Qatar - salvo clamorosi colpi di scena - sarà l’ultimo Mondiale di sua maestà Lionel Messi. «Trascinerà l’Albiceleste sul tetto del mondo e diventerà la più grande leggenda della storia del calcio» afferma con grande sicurezza il suo connazionale Ignacio Aliseda. Al suo fianco, l’altro argentino bianconero Milton Valenzuela, sorride e puntualizza: «Per quanto mi riguarda, “leyenda” lo è già». Tradita da alcune lacune a livello di rosa nelle ultime edizioni, la squadra di Scaloni approccia questo Mondiale con la fiducia derivante dalla conquista dell’ultima Copa América. «Potrebbe essere la chiave per riuscire davvero a vincere. Gli attuali giocatori sanno cosa serve per trionfare. Hanno dimostrato di poterlo fare e questo ha un peso enorme» conclude Valenzuela.

Meno quotato, ma comunque altamente temuto, è l’Uruguay del capitano bianconero Jonathan Sabbatini. Che in Qatar, per la prima volta da una vita, non verrà guidato in panchina da «El Maestro» Óscar Tabárez. «Al termine del torneo si chiuderà un ciclo per la nostra selezione - rileva “Sabba” -. Per i vari Cavani, Luis Suárez, Godin, ecc. questo sarà l’ultimo grande ballo. Parliamo di giocatori iconici, che hanno segnato più di un decennio. Meritano (e vogliono) un’uscita di scena col botto. E ritengo che abbiano le qualità per ottenerla, creando la sorpresa».

Gli africani

Lasciando il Sud America, spostandoci a est verso il Qatar, troviamo l’Africa. Che a Cornaredo è rappresentata dal tunisino Belhadj Mahmoud e dal franco-marocchino Hicham Mahou. Entrambi, più addentro a realtà meno conosciute alle nostre latitudini, mettono in guardia chi affronterà i loro pupilli. «La Tunisia è una bella squadra, viene chiamata “l’Italia dell’Africa” - ci racconta Belhadj -. Peraltro in Qatar potrà godere dei favori del pubblico, siccome è anch’esso un Paese arabo. Non sarà facile superare un girone con Francia, Danimarca e Australia. Ma io ci credo». Mahou, per il suo Marocco, nutre speranze ancora più grandi: «Innanzitutto ci tengo a dire che pur avendo il passaporto francese, il mio cuore batte per i Leoni dell’Atlante perché entrambi i miei genitori provengono da lì. La qualità della rosa è più elevata di quel che si potrebbe pensare e per me questa squadra ha tutto per essere la rivelazione del torneo».

Gli europei

Sempre a Mahou, al netto di ciò che gli suggerisce il cuore, tocca commentare le chance di una Francia che si presenta in Qatar da campione in carica. Ma altresì scombussolata da una serie di scandali che ne hanno condizionato gli ultimi anni. Ottavi contro la Svizzera a Euro 2020 compresi. «Quell’eliminazione ha fatto molto male ai Bleus - ammette l’ex Losanna -, ma non ho dubbi riguardo al fatto che nell’emirato sapranno rialzarsi. Hanno troppe stelle per ripetere un percorso così deludente. E dirò di più: Karim Benzema diventerà il primo giocatore della storia a conquistare un Mondiale da Pallone d’Oro in carica, spezzando la famosa maledizione».

Uno scenario che molte altre big europee proveranno a impedire che si realizzi. A cominciare dalla Croazia, battuta proprio dalla Francia nella finalissima di quattro anni fa. «Sarà però molto difficile che si ripeta quanto accaduto in Russia - afferma Mijat Maric, talent manager bianconero -. I Kockasti stanno vivendo un ricambio generazionale e il gruppo non è altrettanto affiatato. Alcune “vecchie glorie” come Mandžukić e Ćorluka sono però state integrate nello staff tecnico. Chissà che non possano dare gli input giusti. In campo ci penserà invece l’inossidabile Luka Modrić, al suo ultimo Mondiale. Una sensazione agrodolce per tutti i croati, tristi all’idea di perdere il loro “Roger Federer”». Lo stesso possono dire anche i portoghesi, che in Qatar vedranno per l’ultima volta all’opera Cristiano Ronaldo a una Coppa del Mondo: «Sta vivendo un periodo turbolento - commenta Carlos Da Silva, ds dei sottocenerini -. Ricco di critiche, a Manchester e in patria. La gente lo ama, ma vuole che dia l’esempio con il suo comportamento, cosa che ultimamente non ha fatto. Se in Qatar saprà fare gruppo, il Portogallo potrebbe anche vincere. In caso contrario imploderebbe. I destini della selezione, a mio avviso, sono legati agli umori di CR7». Chiusura, infine, con due selezioni che si presentano al Mondiale in una fase particolare della loro storia:Spagna e Germania. «Le Furie Rosse si stanno rinnovando - spiega Fabio Soria Guerra, head of physiotherapy del Lugano -. Va dimenticata la precedente generazione d’oro, che ci ha regalato successi straordinari. Abbiamo voltato pagina e sono certo che i diversi giovani che stanno emergendo porteranno gioia al Paese». Le chance dei tedeschi, che dopo la conquista del Mondiale del 2014 hanno vissuto un costante declino, le commenta invece il centrale Lukas Mai: «Anche la nostra è una selezione piuttosto giovane. Se il gruppo saprà unirsi, a mio avviso la Germania potrà riscattare le delusioni rimediate agli ultimi grandi tornei».

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