Uno striscione carico di complicità

Riavvolgiamo il nastro: un gruppo di Irriducibili laziali, prima del match di Coppa Italia contro il Milan, ha srotolato uno striscione a Piazzale Loreto, Milano. «Onore a Benito Mussolini». Proprio lì, dove il fondatore del Partito nazionale fascista venne esposto, dopo la morte, dai partigiani. Il fatto è accaduto alla vigilia del 25 aprile, festa della Liberazione. «Una provocazione» spiega Domenico Mungo, classe ‘71, docente di lettere e storia, scrittore, giornalista ed editore, nonché ricercatore di storia e antropologia sociale. Un profilo interessante, il suo, e non solo per le varie collaborazioni con l’Università di Torino, la Technische Universität di Dresda e la Sorbona di Parigi. Mungo, infatti, è anche un curvaiolo. Sì, avete capito bene: la domenica, prende la sua sciarpa viola e assieme ad altri amici ultras popola la curva Fiesole, la sede storica del tifo fiorentino.
«Oltre a frequentare gli stadi, mi sono occupato delle tematiche legate al tifo da un punto di vista antropologico» prosegue il nostro interlocutore. «Sia tramite la ricerca, sia scrivendo saggi a tema. La mia è una chiave meno banalizzante. E questo perché, appunto, sebbene abbia quasi 50 anni sono ancora un ultrà. Il che, si badi, mi permette di avere bene in chiaro i limiti, le contraddizioni e le schizofrenie di questo mondo. Mondo che si è trasformato, complici le tante infiltrazioni e penetrazioni».
Veniamo all’attualità più stretta, lo striscione esposto dagli Irriducibili. Che idea si è fatto?
«Gli Irriducibili hanno perso credibilità, sia a livello di dialettica sia pensando al lessico. Gli ultras nascono per sostenere la squadra del cuore, si parla di passione e colori. Gli Irriducibili sono una sorta di società per azioni che veicola altri valori. E che adopera la provocazione affinché si parli del movimento. Ovviamente, questo gruppo non rappresenta in toto l’intera tifoseria della Lazio. È la frangia più violenta. Chiaro, parliamo di una curva da sempre destrorsa».
L’Italia è stata attraversata da un vasto moto di indignazione: lei si aggiunge al coro o la pensa diversamente?
«Non sono indignato, perché parliamo di pagliacci. La provocazione è chiara, siccome lo striscione è stato esposto a Piazzale Loreto alla vigilia del 25 aprile. Semmai, il problema è la politica che spesso legittima queste iniziative. Quanto successo mercoledì va a sommarsi ai cori razzisti laziali, a quelli contro gli ebrei, ai manichini impiccati al Colosseo e agli adesivi con il volto di Anna Frank e la maglia della Roma».
Domanda banale: perché una curva è di destra? E perché proprio l’ideologia fascista sembra farsi sempre più largo fra il tifo organizzato?
«È qualcosa di fisiologico. L’ambiente delle curve è popolare. Inoltre gli ultras hanno valori quali la parola d’onore e una rappresentazione oserei dire virile delle cose. Va da sé che il fascismo, sugli spalti, attecchisce facilmente. Credo che il problema sia anche degli antifascisti, che poco o nulla hanno fatto. Io vivo la Fiesole e la Fiorentina. La nostra curva sin dagli albori si è professata apolitica. Al suo interno convivono varie realtà, fra cui gruppi di destra legati a CasaPound o Forza Nuova. Eppure le varie anime della Fiesole convivono. È sempre stato così. Per questo rido di fronte all’indignazione dei media, dei giornali e delle autorità calcistiche».
L’espressione, abusata, secondo cui il calcio è lo specchio della nostra società funziona anche in questo caso?
«L’Italia, direi che è palese, sta svoltando verso un nuovo fascismo. Non ideologico, perché non so quanti Irriducibili ad esempio saprebbero dire chi era Ezra Pound. Il punto è che la società italiana attuale stigmatizza il rifugiato, il diverso, lo straniero, il partigiano, l’elettore del Partito Democratico. Perciò sì, il calcio e gli ultras non sono altro che lo specchio di ciò che sta diventando l’Italia».


La sinistra a tal proposito punta il dito contro Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Lei che dice?
«Salvini dice e fa cose differenti. Indossa le felpe della polizia e poi si presenta con tanto di sciarpa alla festa per i 50 anni del movimento ultrà milanista. Il fatto che il capo delle guardie, così viene definito il ministro dell’Interno, si presenti ad un raduno del genere crea ambiguità. E c’è una foto che lo ritrae con Luca Lucci, uno che conduce la curva rossonera in modo totalmente differente rispetto alla Fossa dei Leoni di un tempo (fu condannato a quattro anni di carcere per una rissa e patteggiò un anno e mezzo di prigione per spaccio di droga, ndr). Salvini che, poi, manda la Celere a pestare i tifosi dell’Atalanta di ritorno dalla semifinale di andata della Coppa Italia. Così crei dei cortocircuiti pericolosi».
Politica e calcio vanno troppo assieme?
«Ogni regime o governo democratico ha strumentalizzato lo sport, senza dover scomodare il 1938 o Italia ‘90. Pensiamo a Berlusconi e alla sua discesa in campo. Salvini strizza l’occhio ad alcuni ambienti delle curve, d’altronde rappresentano il suo humus elettorale. Il problema è che distingue fra ultras buoni e cattivi. I 120 tifosi della Juve fermati ad Amsterdam non erano un problema, per dire».
Penetrazioni, infiltrazioni, strumentalizzazioni: cosa sono diventate le curve italiane, oggi?
«Non possiamo parlare di movimento ultrà, poiché non c’è omogeneità. C’è stata un’evoluzione, ad ogni modo. Vedo che gli schemi settari che hanno distinto l’Italia degli anni Sessanta e Settanta si stanno ripresentando sugli spalti. E gli ultras di destra sono più organizzati. Ma non reggono più le distinzioni manichee fatte da alcuni giornalisti, secondo cui una determinata curva è di destra e un’altra è di sinistra. All’interno di ogni realtà vi sono sfumature diverse».
L’opinione pubblica e i media, di fronte al fenomeno ultrà, chiedono sempre l’applicazione del modello inglese. Lei, da frequentatore delle curve, che cosa risponde?
«Il modello inglese è un fallimento, lo dicono i dati. La violenza è sì uscita dagli stadi, tuttavia i tifosi si sono organizzati altrimenti pianificando scontri lontano dagli impianti. E spesso usando i social network per darsi appuntamento. Da noi, in Italia, quando nessuno sa bene che soluzione adottare si guarda a cosa fanno Paesi in teoria più evoluti. Ma qui dobbiamo chiederci se l’Inghilterra ha risolto o meno il problema hooligan: io dico di no. L’unica cosa è che lassù, con l’aumento dei prezzi dei biglietti, hanno allontanato la working class dagli spalti».
Torniamo agli Irriducibili: cosa rischiano i tifosi identificati dalla Digos?
«Penso non più di un’interdizione agli stadi, il Daspo. E questo per un semplice motivo: l’apologia di fascismo in Italia sembra non essere più un reato. Lo dico pensando a Salò, a Predappio e alle altre manifestazioni autorizzate in questi giorni. Ma io girerei la questione: come mai trenta ultras degli Irriducibili, che in teoria avrebbero dovuto avere la Digos alle calcagna, sono riusciti a srotolare in centro a Milano uno striscione inneggiante a Mussolini? Questi nemmeno avrebbero dovuto arrivarci, a Piazzale Loreto. E come mai in alcune curve vengono sequestrate le bandiere dedicate a Federico Aldrovandi (studente ferrarese ucciso nel 2005 a seguito di un controllo della polizia, ndr) o i tifosi dell’Atalanta vengono malmenati senza motivo? Gli Irriducibili identificati erano elementi già noti alle forze dell’ordine. Parliamo di persone che vengono spesso a Milano per cenare con i Boys dell’Inter. In un mondo verosimile, la Digos avrebbe fermato questi pagliacci prima che si presentassero a Milano».
Ci tolga una curiosità: lei è un docente, un ricercatore, uno scrittore ma allo stesso tempo è anche un ultrà. Come è possibile far convivere due mondi agli antipodi apparentemente?
«Ne conosco decine, di persone come me, esseri pensanti eppure animaleschi. In curva ho fatto il mio percorso, arrivando a guidare i cori della Fiesole. Sempre però con lucidità, allontanandomi dal luogo comune dell’ultrà troglodita. In quella che è la mia altra vita, diciamo, non ho mai nascosto le mie pulsioni più bestiali e i miei anni sulle gradinate».
Per concludere, che ne pensa delle infiltrazioni mafiose nelle curve?
«Sono naturali. La Juve muove 40 mila persone per una Champions. Controllando la vendita dei biglietti puoi farci molti milioni di guadagno. Volete che la ‘ndrangheta non si infili? Idem la curva Sud del Milan: in media ci sono 5.000 consumatori di cocaina, è normale che al suo interno ci sia uno spaccio di droga verticistico. E gli ultras storici non hanno nessun interesse a difendere l’onore di un movimento: anche perché poi rischi di venire gambizzato o peggio. Non sono le curve a cercare le mafie, semmai è la mafia che sfrutta la porosità delle curve per fare affari. E logicamente va dove sa di poter fare soldi».