L’intervista

Vicente Del Bosque e quello sgambetto rossocrociato

L’ex commissario tecnico della Spagna ricorda la partita di Durban del 2010 e getta un occhio sulla Champions League 2020-21
Vicente Del Bosque, 69 anni. © AP/Petr David Josek
Alberto Cerruti
24.11.2020 06:00

Vicente del Bosque, 69 anni, è l’unico allenatore diventato campione d’Europa e del mondo con un club e la Nazionale: due Champions (2000, 2002) e un’Intercontinentale (2002) con il Real Madrid, Mondiale (2010) ed Europeo (2012) con la Spagna. Per i suoi meriti sportivi, Re Juan Carlos nel 2011 gli ha conferito il titolo di marchese.

Marchese Del Bosque, dopo le prime tre partite, qual è la sua favorita per la Champions?

«La finale di Istanbul è lontana, ma oggi la squadra più forte è il Bayern Monaco e non lo dico perché è campione in carica. Ha vinto le prime tre partite, ha segnato più gol di tutti ed è riuscito a farne quattro all’Atletico Madrid, famoso per la forza della sua difesa».

Quale potrebbe essere la squadra sorpresa?

«Tra le grandi, dico l’Atletico Madrid perché ha fame di rivincita e non soltanto nei confronti del Bayern. Simeone e i suoi non hanno ancora digerito l’eliminazione di agosto con il Lipsia nei quarti di finale di Lisbona e questa rabbia può essere una carica in più. Ma anche l’Atalanta potrebbe essere la classica mina vagante, perché è una squadra che gioca in allegria con un calcio offensivo e non a caso proprio a Lisbona, nella fase finale dell’ultima Champions, ha sfiorato il colpaccio perché stava per eliminare il PSG».

Nelle prime tre partite chi l’ha delusa di più?

«Sicuramente proprio il PSG. È vero che si è trovato in un girone non facile con Manchester United e Lipsia. Ma tre punti in tre partite, con il terzo posto provvisorio, sono davvero pochi per una squadra che in agosto aveva sfiorato il successo finale, con l’aggravante della sconfitta in casa all’esordio contro il Manchester United».

Il Barcellona ha battuto la Juventus, mentre il Real Madrid ha battuto l’Inter: vuol dire che il calcio spagnolo è ancora migliore del calcio italiano?

«Non bastano due partite per giudicare il calcio spagnolo e quello italiano. Le distanze non sono così grandi come nel 2002, quando con la Spagna abbiamo battuto 4-0 l’Italia nella finale dell’Europeo. Il calcio italiano è in grande ripresa e lo dimostra la Nazionale, che si è qualificata senza problemi alla fase finale della Nations League».

Però, dopo il girone d’andata, le quattro squadre spagnole (Real Madrid, Atletico, Barcellona e Siviglia) sarebbero qualificate per gli ottavi come prime o seconde, mentre Inter e Atalanta sarebbero fuori...

«Ma siamo soltanto a metà strada ed è troppo presto per i bilanci. Caso mai, se si vuole fare un discorso generale, si può dire che le squadre inglesi sono quelle più avanti, visto che tutte e quattro, i due Manchester, il Liverpool e il Chelsea sono in testa ai rispettivi ai gironi. La considerazione più importante, però, è un’altra: il calcio di oggi è molto più fisico rispetto al passato, perché la forza conta moltissimo. Per fortuna, comunque, conta anche la tecnica che non scomparirà mai e quindi le squadre migliori sono quelle che riescono ad abbinare forza fisica e qualità tecniche. Ecco perché dicevo che la mia favorita per il successo finale è il Bayern che ha trovato il perfetto equilibrio tra forza fisica e qualità tecniche».

Inter-Real Madrid è già uno spareggio per evitare una clamorosa bocciatura?

«Sarà una partita intensissima perché tutte e due le squadre rischiano in un girone che improvvisamente è diventato il più equilibrato e più incerto di tutti. Nessuno immaginava che lo Shakhtar potesse vincere a Madrid e il Borussia Mönchengladbach pareggiasse con Inter e Real Madrid e poi fosse capace di vincere addirittura 6-0 in Ucraina. A questo punto, quindi, può capitare che una delle due tra Inter e Real non si qualifichi per gli ottavi, ma non credo che rimangano fuori tutte e due».

Che cosa pensa del fatto che la Juventus ha affidato la panchina a Pirlo, all’esordio assoluto come allenatore?

«È stata una sorpresa per tutti. Pirlo è stato un centrocampista campione del mondo che aveva la vocazione per fare il giocatore. Non so se ha avuto la stessa vocazione per fare l’allenatore, ma per esperienza personale posso dire che entrare in uno spogliatoio da giocatore è diverso che entrarci da allenatore».

Intanto Morata in Champions è stato piò decisivo di Ronaldo: se l’aspettava?

«Morata è un grande attaccante, in continua crescita. Aveva soltanto bisogno di giocare e di sentire la fiducia dell’ambiente. È tornato in Nazionale e ha subito confermato di attraversare un grande momento. Il futuro è dalla sua parte, ma ciò non significa che Ronaldo sia avviato alla fine della carriera».

Ronaldo e Messi: saranno ancora loro i protagonisti di questa Champions?

«Fino a un certo punto, perché tra i due litiganti c’è Lewandowski, il vero centravanti, il vero goleador in grado di battere ancora tutti come l’anno scorso».

E tra i giovani sarà un duello a distanza tra Mbappé e Ansu Fati, attualmente infortunato?

«Mbappé ormai non può più essere considerato una promessa, perché è una realtà del calcio mondiale. La vera novità può essere Ansu Fati che aveva debuttato in Champions la stagione scorsa nel Barcellona e si stava confermando quest’anno prima di farsi male. Ha già giocato anche in Nazionale e per tanto tempo sentiremo parlare di lui. Ma io voglio aggiungere il nome di un altro giovane che mi ha impressionato: Diogo Jota del Liverpool».

Perché Guardiola, che aveva vinto tutto con il Barcellona, non riesce a fare altrettanto con il Manchester City?

«Perché un allenatore non basta. Ci vogliono anche i grandi giocatori per fare una grande squadra e il City in questi anni non ha dimostrato di essere una grande squadra».

La Spagna ha travolto 6-0 la Germania, ma prima aveva pareggiato con la Svizzera dopo aver rischiato di perdere: come lo spiega?

«Il calcio non è una scienza esatta e poi in campo vanno due squadre non una. La Svizzera contro la Spagna ha giocato bene e ha sfiorato il 2-0, prima di essere raggiunta nel finale. Onore alla Svizzera, quindi, e in particolare a Sommer che ha parato due rigori allo specialista Sergio Ramos. Pensando alla figuraccia della Germania pochi giorni dopo, il mio collega Petkovic può essere soddisfatto».

La Svizzera che aveva battuto la sua Spagna al Mondiale del 2010 era molto più forte di quella di oggi?

«Era più forte e non soltanto perché era stata l’unica squadra contro cui avevamo perso in Sudafrica. Non voglio far confronti tra i giocatori, dico soltanto che dobbiamo ringraziare la Svizzera e Gelson Fernandes per il suo gol, perché quella sconfitta ci ha dato la scossa per arrivare al titolo».

Per concludere: le piace questa formula della Champions, o preferirebbe una SuperChampions ristretta alle grandi?

«Questa formula va benissimo, perché non bisogna svalutare i campionati nazionali. È giusto premiare le squadre migliori del momento e non per la loro storia. Capisco che può essere più avvincente la formula con l’eliminazione diretta come nel finale dalla stagione scorsa, ma secondo me è più giusto continuare come adesso con andata e ritorno, sia perché il pubblico ha il diritto di vedere le proprie squadre, sia perché in due partite emergono i veri valori».