Caster Semenya, da oggi forzata a non vincere più

Più volte si è parlato del motto tatuato sull’avambraccio sinistro di Stan Wawrinka. «Ever tried. Ever failed. No matter. Try Again. Fail again. Fail better». Una questione di tentativi e fallimenti, di caparbietà, di lotte da combattere e vincere, di sfide. Al netto della retorica sportiva, è un motto ancora più facilmente applicabile alla vita di Caster Semenya, una sorta di gioco dell’oca, di processo sincopato in cui a un passo in avanti, a una conquista, seguirà un passo indietro - uno, oppure due, oppure parecchi -, una sottrazione. In questo caso, è stata la IAAF, la federazione internazionale di atletica, nell’aprile 2018, a sottrarle qualcosa, qualcosa di molto vicino a quella che è la sua stessa natura, obbligandola - lei come altre atlete, anch’esse con un differente sviluppo sessuale (DSD) - a gareggiare tenendo a bada il proprio tasso di testosterone. Al massimo 5 nanomoli per litro. Come tenerlo a bada? Attraverso dosi massicce di anticoncezionali, con possibili effetti collaterali, anche a livello psicologico. Alternative: cambiare distanze, inferiori ai 400 o superiori ai 1500 metri, oppure ritirarsi. La IAAF contro Caster Semenya? «Non ce l’abbiamo con lei. Ma dobbiamo agire per una competizione più equa», ha detto il presidente Sebastian Coe. Un’equità garantita dalla regola 114? Possiamo discuterne. Se n’è discusso anche al TAS, sollecitato dalla stessa 28enne sudafricana, vincitrice in passato di due ori olimpici e tre ori mondiali (più un bronzo). Ma Losanna in sostanza, la scorsa settimana, ha dato ragione alla IAAF, pur invitandola a trovare misure meno discriminanti. Caster ha fatto sapere, tramite i suoi avvocati, di non voler mollare. «No matter: try again», citando nuovamente il motto di Wawrinka - che poi è una citazione da Samuel Beckett - Darà battaglia alle istituzioni, rifiutando le cure suggerite. La regola 114 entra in vigore proprio oggi. Lei ha fatto comunque in tempo a vincere un’ultima gara, ovvero la prima tappa della nuova edizione della Diamond League, a Doha, venerdì scorso. Si è messa alle spalle Francine Niyonsaba, la prima ad abbracciarla al traguardo. Anche l’atleta del Burundi si ritrova nella stessa situazione di Caster Semenya, costretta a prendere una decisione campale. «Nessun essere umano può impedirmi di correre», l’ultima cosa che ha detto Caster dopo l’ultima vittoria. Ultima? Per ora.