«Così una palla da basket è diventata il mio sogno»

«Vi voglio raccontare la mia storia. La storia di un ragazzo dai mille sogni arrivato da molto lontano». Inizia così la biografia di Trésor Quidome, per gli amici TQ, pubblicata da Fontana Edizioni e scritta insieme a Pietro Catanese, con prefazione di Alessandro Tamburini. Si intitola «Trésor Quidome - Il mio sogno tutto svizzero». È un concentrato di basket, amicizie, aneddoti, personaggi e consigli messi nero su bianco da chi la pallacanestro l’ha vissuta ai massimi livelli nazionali per 17 anni.
Sì, Trésor Quidome è venuto da molto lontano. Dall’Angola, cuore pulsante del basket africano, dove è nato nel 1980. Suo padre è stato un giocatore professionista. Di calcio, però. «All’inizio è riuscito ad indirizzare me e i miei fratelli verso il suo sport preferito, ma poi la palla a spicchi ha preso il sopravvento», ci dice TQ con un grande sorriso.
Trésor è arrivato in Ticino da piccolino. «Avevo 6 anni. Abitavamo a Paradiso, dove ho iniziato l’ultimo anno di asilo. Poi, a metà della seconda elementare, ci siamo trasferiti a Viganello». Una tappa fondamentale in questo viaggio chiamato basket. «Sì, Viganello è terra di pallacanestro. La prima a farsi coinvolgere è stata mia sorella, ma a 13 anni ci sono finito dentro anch’io, trascinato da Jairo, un mio compagno di scuola di origini colombiane. Ho trovato una grande famiglia e persone eccezionali, come i miei primi allenatori Claudio Maspero e Gilbert Bregy. Mi hanno fatto amare il basket sin da subito. Mi piaceva il dinamismo, il continuo avanti e indietro, il fatto che tutti fossero sia difensori , sia attaccanti».
Crederci sempre
Un amore per il basket che Trésor ha voluto raccontare in un libro: «Ci ho messo 2 anni e mezzo a scriverlo con Pietro Catanese, mio partner nella compagnia Basketball Dream. L’abbiamo fondata per aiutare i giovani partendo dalle mie esperienze personali. Mi sono sempre chiesto come mai in Svizzera il basket faccia più fatica ad evolvere rispetto ad altri Paesi e ho capito che bisogna lavorare meglio con i ragazzi a livello individuale. Il libro racconta la mia carriera, ma non solo. Parlo della mia vita privata, della pallacanestro ticinese, dei giocatori che hanno preceduto la mia generazione, di quelli con cui ho condiviso il parquet e di quelli che sono arrivati dopo. Il messaggio è lo stesso che cerco di far passare ai ragazzi che alleno a Küsnacht-Erlenbach, in LNB: bisogna credere in se stessi, tra inevitabili alti e bassi. Lavorando sodo, si possono raggiungere grandi obiettivi. Io sono arrivato a giocare come professionista perché sono sempre stato molto esigente con me stesso. Nelle giovanili non mi sono mai sentito il più forte. Anzi, osservavo quelli che consideravo più bravi di me per imparare. Rispetto ad altri miei coetanei, ho avuto più voglia di farcela. Quando si approda in LNA a 17 anni, come è capitato a me a Vacallo, non puoi pretendere di avere subito spazio. Devi resistere, pazientare, essere forte mentalmente. Io ci sono riuscito, altri invece non hanno accettato il fatto di allenarsi così tanto per giocare così poco. Appena sono stato ingaggiato dalla SAV di coach Ciccio Grasselli, ho avuto subito un buon minutaggio. Poi, con l’arrivo in panchina di Casalini, ho giocato meno. A quel punto avrei potuto mollare, ma non l’ho fatto. Un’ottima decisione».
Mamma Africa
Nel libro Trésor si concede parentesi molto intime e personali. I primi amori, le estati al Lido, la religione, l’integrazione: «Frequentavamo la chiesa africana a Locarno. Le celebrazioni duravano mezz’ora, ma poi si andava avanti a ballare, cantare e mangiare. Ogni domenica era una grande festa per tutta la comunità. Nel mio nucleo familiare c’è sempre stato tanto affetto, ma quando ero fuori e dovevo affrontare la vita, non mancavano i momenti duri. Il basket mi ha aiutato, è stato un grande veicolo di integrazione. Ho giocato in squadre multietniche e il razzismo in campo non l’ho mai conosciuto». L’Angola, per Quidome, è un ricordo lontano: «Non ci sono più tornato, ma ho sentito tante storie da parte dei miei genitori e ho ancora delle immagini nella testa».
Gli anni in bianconero
Nel 1998 Trésor ha fatto il grande salto dalla Prima Lega con il Viganello alla LNA con la SAV Vacallo: «Quella momò è stata un’esperienza intensa, purtroppo interrottasi bruscamente per la bancarotta del club nel 2000. Non dimenticherò mai la tifoseria, l’atmosfera alle nostre partite e i due trionfi in Coppa. Dopo il fallimento, a stagione iniziata, sono stato ingaggiato dai Lugano Snakes di coach Markovski. Non è stata una transizione facile, i bianconeri erano uno squadrone e io ero ancora giovane. Ma anche questa si è poi rivelata una buona scelta. All’Elvetico sono rimasto 6 anni e ho vinto il mio primo titolo. È stato un periodo importante della mia vita e non è un caso se il libro, prima di essere tradotto in altre lingue, è uscito in italiano. Il Ticino mi ha dato tanto, era importante poter iniziare a raccontare la mia storia a chi mi ha visto crescere».
Senza peli sulla lingua
In quasi 200 pagine, Trésor semina aneddoti curiosi senza peli sulla lingua, a costo di farsi dei nemici: le dinamiche di spogliatoio, le qualità e i difetti dei vari allenatori... Tra gli episodi riguardanti gli anni in bianconero, spicca il famoso litigio tra coach Andrea Petitpierre e il suo playmaker Rodrigo Pastore, avvenuto dopo la finale di Coppa del 2006, persa in modo rocambolesco contro il Monthey: «Il mio è un libro sincero, i compagni di allora possono confermarlo. La gente parla tanto e ogni storia ha diverse versioni, ma le verità saltano sempre fuori. Detto questo, tutti gli allenatori che ho avuto, anche quelli con cui andavo meno d’accordo, hanno fatto in modo che diventassi il giocatore che sono stato e li ringrazio molto. Ma era giusto chiarire certe cose come faccio nel libro, esprimendo il mio punto di vista».
Via dal Ticino
Nel 2006 Trésor ha lasciato il Ticino per raggiungere l’Olympic Friburgo: «Era il momento giusto. Il Lugano era in fase di ricostruzione dopo aver rischiato di sparire ed io avevo la coscienza a posto. In Ticino avevo fatto quello che dovevo, non mi sentivo un mercenario nell’accettare l’offerta dei burgundi. Sono andato in una società ben strutturata, ambiziosa, con l’opportunità di disputare le coppe europee. Cercavo delle nuove sfide. A Friburgo ho trovato un club stabile e questo mi ha permesso di giocare senza preoccupazioni».
Gli ultimi anni a Neuchâtel, invece, non sono stati idilliaci: «Giocavo con buoni amici, ma non mi sentivo trattato nel modo giusto. Questo mi ha fatto capire di dover smettere». Oggi Trésor Quidome allena i Wallabies in LNB e gestisce tre palestre a Zurigo. A chi glielo chiede, racconta volentieri le sue grandi storie di basket.