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Daniel Andjelkovic: «E pensare che un’estate fa ero pronto a lasciare tutto»

Il capitano della SAM Massagno racconta la sua storia d'amore sportiva con il club che ha appena conquistato la Coppa della Lega a Montreux
Daniel Andjelkovic ha iniziato nelle giovanili della SAM, entrando poi nella massima squadra, in cui milita da 12 anni. ©Keystone/Cyril Zingaro
Mattia Meier
03.02.2023 22:30

Ad una settimana dal trofeo, quali sono le sensazioni?
«Siamo ancora in piena sbornia post vittoria (ride ndr). Sento ancora l’adrenalina, e per questo ho dei vuoti di memoria, momenti che non ricordo lucidamente. Ma è tutto bellissimo, la vittoria, i festeggiamenti in spogliatoio, gli sms, le chiamate degli amici e di tutti dopo la partita. Sensazioni straordinarie che non penso dimenticherò. Avevamo bisogno di vincere, e ora vogliamo continuare».

Un gruppo così forte, sotto ogni aspetto, non lo avete mai avuto...
«Dagli errori si impara, così devi fare se vuoi evitare di ripeterli. Negli ultimi anni abbiamo rosicato parecchio, lo ammetto, ma abbiamo trasformato tutto questo in motivazione. La nostra forza di volontà è stata più forte delle avversità. Quando diciamo che siamo una famiglia, non è un’espressione a caso. Per me andare ad allenamento è come andare a trovare i miei cari, un momento di gioia e condivisione».

Tu e la SAM. Un percorso lungo una vita ormai...
«Sono nella massima serie ormai da 12 anni, e prima ero nelle giovanili. Metaforicamente ho iniziato che ero in culla e nel frattempo sono diventato adulto. Un bambino fattosi uomo. È una cosa che mi fa riflettere parecchio, pensando a quello che abbiamo costruito in tutti questi anni, come società, come gruppo. Per questo dico che questa Coppa è di tutti, di ogni singola persona passata dalla SAM in questi 12 anni».

Un rapporto indissolubile. Famigliare, come dicevi prima.
«Esattamente. Mamma Massagno, direi. In passato, da giovanissimo, ho avuto delle opportunità di andare altrove, ma sono sempre rimasto, e la SAM è finita per entrarmi nel cuore. Fu Robbi Gubitosa a volermi in prima squadra. Lo ha ricordato in questi giorni, a quei tempi mi disse: “Ti porto in prima squadra e ti prometto che vinceremo qualcosa”. Avevo 16 anni, un ragazzino. Senza la SAM, lo sport e queste persone, chissà che ne sarebbe stato della mia vita».

Lo hai citato. Robbi Gubitosa. Coach, mentore, anche qualcosa in più...
«Robbi è come un padre, né più né meno. In questi anni l’ho ribadito più volte. Inutile nascondere quanto sia speciale il nostro rapporto. Domenica ero così felice per lui, ha dato tantissimo alla SAM. Ho voluto alzassimo insieme la Coppa, non avrei mai potuto farlo senza lui. L’abbraccio che ci siamo dati dopo aver alzato al cielo il trofeo è stato uno dei più emozionanti e belli della mia vita».

Quando ero fuori, mi sentivo come un bambino a cui avevano tolto il giocattolo preferito, per me il basket è gioia, felicità

Ogni storia d’amore ha i suoi momenti difficili. Per te lo sono stati gli infortuni.
«Un altro aspetto che mi fa rosicare parecchio. Quando ero fuori, mi sentivo come un bambino a cui avevano tolto il giocattolo preferito, per me il basket è gioia, felicità».

Sei anche arrivato vicino al punto di rottura...
«L’ultima estate, quando mi è stata prospettata l’ennesima operazione, mi sono detto: “Basta, non ne vale più la pena, lascio lo sport agonistico”. È stata allora la mia preparatrice atletica, Gloria Picco, a darmi la forza di volontà per continuare. Ha fatto un lavoro mentale incredibile. L’altro giorno mi ha scritto: “E tu che volevi mollare...”. Le devo tanto».

Via di giochino. I tre ricordi impressi per sempre?
«Il “triplete” giovanile, quando nel 2011 negli U19 vincemmo Coppa Ticino, il campionato ticinese e poi quello svizzero. Poi la sconfitta in finale di SBL Cup con Ginevra, 2 anni fa. È un ricordo fisso, ci fregò la stanchezza, mi è rimasta proprio qua quella partita. Infine, quello di cui parlavo prima, il mio “rientro” quest’anno quando ormai pensavo di smettere. Visto quanto successo, direi che non me lo scorderò di certo!».

I tre compagni «per la vita» invece?
«Randon Grüninger e Fabio Appavou. Siamo cresciuti insieme, in tutti i sensi, in campo e fuori. Ancora oggi abbiamo la nostra chat su WhatsApp e ci sentiamo ogni giorno. Oltre a loro, Alex Martino, percorso e storia diversa dagli altri due, ma dopo tutti questi anni insieme in prima squadra è come un fratello. A mio modo di vedere siamo le due icone di questo gruppo».

Ora i tre compagni più forti.
«Jay Crockett, con noi nella stagione 2016. Uno schiacciatore come ne ho visti pochi in vita mia. Poi ci metto due compagni attuali; Juwann James, il centro più forte e completo con cui ho giocato, dopodiché Isaiah Williams; l’esterno più forte di tutti i tempi della SAM».

Dedico il trofeo in primis a Luigi Bruschetti. Senza di lui, tutto questo forse oggi non esisterebbe

Un ragazzino per diventare adulto ha bisogno di maestri. Quali sono stati i tuoi?
«Dusan Mladjan. “Dule” mi ha insegnato tantissimo. Nonostante sia uno dei “mostri sacri” del nostro basket è sempre disponibile. L’altro giorno dopo la finale mi ha mandato un vocale in cui si diceva orgoglioso di me. Ci metto anche suo fratello Marko. Un amico, che sembra sempre un “bambinone” per come gli piace ridere ma che nasconde una grande maturità. Quando c’è da fare sul serio, sa come fare “click” e stare sul pezzo. Un qualcosa che ha insegnato anche a me. Ultimo ma non ultimo Uros Slokar, a cui chiedo sempre consigli e che trovo sempre disponibile a darmeli. Un signore, un campione che mi ha aiutato tanto nelle ultime stagioni».

A chi dedichi il primo trofeo della storia?
«In primis, a Luigi Bruschetti. Senza di lui, tutto questo forse oggi non esisterebbe. Partendo con poco, ha creato tantissimo. Dopo la mamma, perché la mamma è sempre la mamma. È la mia prima tifosa, era così felice e orgogliosa dopo Montreux. E poi alla persona a cui è dedicato il mio numero di maglia, Dario Koludrovic. Uno dei miei più grandi amici, lo porterò sempre nel mio cuore»

Domenica grande festa a Nosedo...
«Spero venga tanta gente. Siamo una comunità, questo trofeo è di tutti, non solo della società. Massagno merita questa festa».

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