Pallanuoto

Deni Fiorentini: «A Lugano tra piscina e banchi di scuola»

Il giocatore degli Sharks vuole riportare il titolo in Ticino e intanto studia fisioterapia
Deni Fiorentini in azione. (Foto Maffi)
Mattia Darni
28.06.2019 06:00

Tra poco meno di una settimana (giovedì 4 luglio) al Lido di Lugano sarà il momento di parlare di playoff. Ottenuto il secondo posto in classifica, gli Sharks si sono qualificati direttamente per le semifinali dove incontreranno la vincente tra Horgen e Sciaffusa. Il capitano dei luganesi, Deni Fiorentini, lancia la volata finale. E la chiacchierata si trasforma in un’occasione per conoscerlo meglio.

Deni, rispetto alle passate stagioni, in cui avete dimostrato cose fuori dal normale, avete subito un lieve calo. Come spiegarlo?

«Quest’anno lo definirei un po’ particolare. Alcuni ragazzi hanno dovuto lasciare, altri, per impegni privati, non hanno sempre potuto allenarsi con la squadra e, infine, abbiamo avuto pure un discreto numero di infortuni che hanno ulteriormente decimato la rosa. Di conseguenza abbiamo avuto qualche difficoltà a lavorare in modo costante con tutto il gruppo e ciò è stato sicuramente penalizzante. Ad ogni modo, non voglio che sia un alibi. Nell’ultima settimana, nondimeno, siamo riusciti ad allenarci tutti assieme e quindi abbiamo iniziato a preparare i playoff in maniera ottimale».

Hai accennato ai playoff. Con quale spirito li affronterete?

«Vogliamo nuovamente portare il titolo in Ticino. Anche perché non sono abituato a giocare senza obiettivi o, peggio, per perdere. Abbiamo dimostrato di poter competere con le migliori squadre del campionato: non vedo perciò il motivo di nasconderci dietro ad un dito».

Veniamo ora all’uomo Deni Fiorentini. Sei nato in una famiglia di pallanuotisti. Il tuo destino era già segnato?

«Il passo o, più che altro, il tuffo è stato breve (e ride, ndr.). Fin da piccolo ho frequentato ambienti in cui prevaleva l’acqua. La mia è stata una scelta che in realtà è una non scelta, nel senso che, probabilmente, ho la pallanuoto nel DNA. Sia mia mamma che mio fratello hanno praticato tale attività. Mio padre è persino stato nazionale jugoslavo. Ciononostante non ho mai subito pressioni dai miei genitori, semplicemente siamo una famiglia acquatica. Ho iniziato andando spesso in piscina, ho provato questo sport e ho visto che, effettivamente, mi piaceva e così ho continuato».

Cresciuto a Lugano, nel 2006 ottieni la cittadinanza italiana. Raccontaci la tua storia.

«Sono arrivato in riva al Ceresio quando ero ancora molto piccolo, non facevo ancora l’asilo. A 17 anni ho poi raggiunto mio fratello in Italia. Ho giocato come straniero in serie A2 fino al 2006 quando, vista l’origine dei miei nonni, ho acquisito la cittadinanza italiana. Da quel momento ho avuto maggiori agevolazioni in ambito pallanuotistico poiché non venivo più conteggiato come straniero e ciò era molto allettante considerando che, in quegli anni, il campionato del Bel Paese era uno dei migliori al mondo. In prospettiva, inoltre, avevo la possibilità di entrare a far parte del Settebello».

Dopo le giovanili nel Lugano, sei andato a giocare nel campionato italiano, tra i più prestigiosi a livello internazionale. Come è nata l’opportunità?

«Mio fratello giocava a Brescia e mi ha chiesto di venire a provare con la squadra, proposta che ho accettato di buon grado. All’inizio, era per me un’incognita. Tuttavia, col passare degli anni, sono progressivamente riuscito a ritagliarmi uno spazio importante e ho così abbracciato il professionismo».

Sei pure stato nella nazionale italiana con la quale hai vissuto momenti indimenticabili.

«È vero, nel 2012 sono stato alle Olimpiadi di Londra dove abbiamo portato a casa, purtroppo, solo una medaglia d’argento, risultato comunque più che positivo. Per me è stato l’apice della carriera. Si provano delle emozioni difficilmente descrivibili, principalmente per via dell’ambiente che ruota attorno alla manifestazione: in contesti simili puoi incontrare quotidianamente grandi atleti non solo della tua disciplina, ma anche di tutte le altre. Faccio qualche esempio, Novak Djokovic, Usain Bolt e le stelle del basket. Per uno sportivo come me, partito da una realtà considerata minore, come è la pallanuoto in Svizzera, aver raggiunto tali traguardi è sicuramente un motivo d’orgoglio. In ogni caso, il torneo a cinque cerchi non è stato il mio unico grande risultato, anzi, è stato il culmine di un’escalation. Nel 2010 abbiamo vinto la medaglia d’argento agli Europei e nel 2011 quella d’oro ai Mondiali. Devo però dire che ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto».

Dopo i trionfi internazionali, hai deciso di tornare a Lugano. Come mai? Il passaggio dai grandi palcoscenici ad uno più modesto non ha mai comportato un calo di motivazione da parte tua?

«Ho deciso di tornare a Lugano perché mi si è presentata l’occasione. Avrei potuto continuare in Italia, ma stava per nascere mia figlia e, allora, per garantirle una certa stabilità famigliare, ho preferito rientrare in un luogo che ben conoscevo. In Svizzera, inoltre, avevo l’opportunità di cominciare un nuovo percorso di studi. La scelta non è quindi stata difficile. In più quando ho lasciato Lugano, non avevo ancora vinto un campionato svizzero: volevo perciò aggiungere questo tassello al mio palmarès. Per quello che riguarda la motivazione, penso di aver sempre dato il massimo, tuttavia non devo essere io a dirlo, bisognerebbe chiedere a qualcuno di esterno».

Nella tua squadra sei il capitano. La vivi come una responsabilità?

«Sicuramente è una responsabilità dato che sei un punto di riferimento per tutti. Per i miei compagni voglio soprattutto essere una figura di supporto. Quando hanno la necessità, sanno che possono venire a chiedermi qualche consiglio».

In Svizzera, dicevi, hai avuto la possibilità d’intraprendere un nuovo percorso formativo. Cosa studi?

«Sono alla fine del secondo anno di fisioterapia alla SUPSI. Da fine anno prossimo vorrei poi iniziare a lavorare. Se riuscissi a farlo nel campo dello sport, sarei molto felice. La mia priorità, ad ogni modo, è di esercitare la professione, poco importa in quale ambito».