Hockey

Douay: «Il mito Bozon, la fiducia di McSorley e il primo flirt con l'Ambrì»

Il nuovo attaccante biancoblù si racconta: «Ero un ragazzino francese che sognava il campionato svizzero - I miei genitori guidavano due ore ogni sera per farmi giocare a Ginevra»
© Keystone/Alessandro Crinari
Fernando Lavezzo
19.09.2023 06:00

Rispetto alla scorsa stagione, la quarta linea dell’Ambrì Piotta è cresciuta di 21 cm e 26 kg. Diego Kostner e Daniele Grassi sono rimasti uguali. A fare la differenza è la stazza di Floran Douay rispetto a quella di Noele Trisconi. In vista della gara casalinga di questa sera contro il Friburgo, abbiamo incontrato l’attaccante francese.

Alta Savoia

Sallanches è una località francese dell’Alta Savoia, ai piedi del Monte Bianco. Lì, il 7 febbraio del 1995, è nato Floran Douay. «Ma ormai ho trascorso oltre metà della mia vita in Svizzera», racconta il 28.enne ripercorrendo la sua storia. «In Francia l’hockey non è lo sport più seguito, ma dalle mie parti è popolare. Da ragazzo ho praticato tutte le discipline legate alla montagna. Mi piaceva sciare. Ma più di tutto adoravo stare sul ghiaccio con disco e bastone. Ho iniziato nel Megève, dove abitavo. Sono cresciuto con il sogno di diventare un giocatore professionista e il campionato svizzero è sempre stato un punto di riferimento. Seguivo le gesta di alcuni francesi che giocavano qui. Così, a 13 anni, sono entrato nel settore giovanile del Servette, a un’ora d’auto da casa. Devo moltissimo ai miei genitori: ogni sera, dopo la loro giornata di lavoro, mi scorrazzavano avanti e indietro. Finché, a 16 o 17 anni, mi sono trasferito a Ginevra in una famiglia ospitante».

Il mito Bozon

Hockey, Francia, Megève. Il primo nome che viene in mente è quello di Philippe Bozon: «Nelle giovanili del Servette è stato uno dei miei allenatori. Un mito per tutti i francesi che seguivano l’hockey e ancor di più per noi ragazzini dell’Alta Savoia. Bozon è stato il nostro pioniere in NHL. Per me era impressionante poter lavorare con lui. Tra i miei compagni di squadra, inoltre, c’erano i suoi due figli, Tim e Kevin, oggi in forza a Losanna e Ajoie».

DNA ginevrino

Una volta Chris McSorley disse che Douay aveva il DNA del Ginevra Servette. Forse non è un caso che l’avventura di Floran alle Vernets si sia conclusa proprio con la partenza del «padre padrone» canadese nel 2020. «Le due cose non sono strettamente legate, ma di sicuro Chris è stato fondamentale nella mia carriera. È stato lui a portarmi in prima squadra e a sviluppare il mio gioco, cucendomi addosso un ruolo adatto alle mie caratteristiche. McSorley ha sempre apprezzato gli attaccanti alti e robusti, ma veloci. È questo che intendeva quando parlava di DNA ginevrino».

Nel 2020 Floran finì a Losanna in uno scambio che portò Tyler Moy in maglia granata: «Era il momento giusto per cambiare ambiente. Dopo tredici stagioni nello stesso club, avevo bisogno di vedere anche altro. Di aprirmi un po’ a livello professionale. Purtroppo, a Malley non è andato tutto come speravo. Il primo anno è stato positivo, poi tutto si è fatto più complicato. È venuta meno l’intesa con il club. Le cose sono finite male, con molte incomprensioni rimaste in sospeso. A un certo punto, dopo essere stato girato al Sierre in Swiss League, volevo semplicemente andarmene il prima possibile. Così, all’inizio della scorsa stagione, ho colto l’occasione offertami dal Langnau. Ero a terra, molto sfiduciato, ma nell’Emmental mi hanno aperto la porta. Lì ho potuto concentrarmi sul ghiaccio, senza pensare a quanto succedeva attorno. Grazie ai Tigers sono tornato a credere in me».

Contatti biancoblù

Il passaggio di Douay all’Ambrì venne ufficializzato già lo scorso 15 dicembre. «Conoscevo bene i biancoblù, perché l’anno prima avevo giocato la Coppa Spengler insieme a loro. Una settimana indimenticabile, in cui avevo apprezzato l’ambiente dello spogliatoio, la tifoseria e lo staff tecnico. Siamo sempre rimasti in contatto e quando Paolo Duca mi ha sottoposto la sua offerta, è stato facile dirgli di sì».

In Leventina, Floran Douay ha messo la sua fisicità al servizio di una quarta linea esperta e dinamica. «Io, Diego e Daniele formiamo un terzetto completo, in grado di difendere contro le migliori linee avversarie, ma anche di segnare. Sta funzionando bene, speriamo di continuare così. Il primo weekend è stato molto positivo per tutta la squadra. So che anche negli scorsi anni la stagione dell’Ambrì era cominciata bene, ma poi erano emerse delle difficoltà. Dovremo continuare a lavorare sodo, anche più di prima, tenendo i piedi per terra ed evitando di ammirarci allo specchio. Siamo coscienti che sarà una stagione dura e che non vinceremo sempre. Ogni punto andrà strappato con i denti».

In missione a Parigi

E chissà che grazie all’Ambrì, Douay non riesca a riconquistare un posto nella nazionale francese dopo una stagione senza convocazioni: «Uno dei momenti più belli della mia carriera è stato il mio primo Mondiale, giocato in casa, a Parigi-Bercy, nel 2017. Molti parigini vennero a vederci senza conoscere le regole, ma si fecero coinvolgere dalla velocità e dalla fisicità del nostro sport. Ci sentivamo in doppia missione: volevamo vincere le partite, certo, ma anche promuovere l’hockey nel nostro Paese. Un’esperienza unica».

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