«Ecco i segreti del bike trial, una metafora della vita»

Ex sportivo d’élite e ora tecnico a livello nazionale e ticinese di Bike Trial, Pascal Benaglia racconta il mondo cui ha dedicato gran parte della sua vita. Dopo diversi anni di gare, dal 2014 è diventato allenatore di un gruppo trial ticinese e dal 2019 è stato incaricato di seguire la Nazionale under 16. Da quest’anno è capo allenatore di tutto il trial svizzero - élite, juniores e U16 - e del gruppo ticinese Trial Emotion Team. Nella vita di Pascal c’è anche la famiglia e il lavoro come docente di educazione fisica.
Partiamo dalle basi, due parole per definire il bike trial: «Allenamento e costanza. Il bike trial è una sorta di parkour con la bicicletta e il segreto per fare bene è immaginarlo come una metafora della vita. In questa disciplina si devono oltrepassare alcuni ostacoli e se non ci si riesce al primo colpo bisogna comunque perseverare e allenarsi finché non li si supera. È una disciplina completa e per avere successo non basta solo essere forti o avere equilibrio, ma bisogna preparare sia la forza esplosiva sia l’aspetto mentale. Si cerca di riprodurre in allenamento dei percorsi da gara per essere concentrati dall’inizio alla fine senza appoggiare i piedi per terra e procurarsi una penalità». Allenando sia adulti sia ragazzi e bambini, Pascal deve trovare metodi diversi per allenare l’aspetto mentale. «Con i più piccoli non parlo di training mentale, ma cerco piuttosto di metterli nella condizione di riuscire a superare un ostacolo al primo colpo aggiungendo un po’ di pressione: il tempo, un certo numero di tentativi a disposizione oppure motivazioni sotto forma di gioco. Per quanto riguarda gli adulti, invece, si parla di visualizzazione e di focus su determinati passaggi».
Il fattore «wow»
Pascal è un pioniere del Bike Trial: partito in solitaria nel 2003 a praticare questa disciplina in Ticino, adesso conta una ventina di giovani nella sua palestra a Malvaglia. «Mi ritengo molto soddisfatto di quello che sono riuscito a fare perché sempre più giovani si avvicinano al Bike Trial. Quello che questa disciplina vanta rispetto ad altre è il fattore “wow”. Quando si vede qualcuno che con la bicicletta è capace di fare una piccola evoluzione si scatena subito la frase “Wow, voglio farlo anche io!”. Proprio questo stimola i giovani: iniziare a imparare qualcosa che tutti gli altri non sanno fare».
Gli obiettivi stagionali
La stagione del trial ticinese è iniziata molto bene, con ottimi risultati in Coppa Svizzera a Basilea, ma per Pascal ci sono altri bersagli a cui puntare.
«Come allenatore del gruppo ticinese spero che ci possano essere ancora dei selezionati per i Nazionali, al momento ce ne sono tre e sono soddisfatto. Puntavo tanto alla partecipazione ai Giochi mondiali della gioventù, ma per il momento sono stati annullati per la pandemia. A oggi, non so ancora se ci saranno oppure no. Come allenatore della Nazionale punto ai Mondiali élite e juniores a inizio settembre, dove spero di portare diversi atleti e dove mi piacerebbe fare ancora una medaglia nella gara a squadre e perché no, qualche medaglia anche nelle categorie singole».
La situazione COVID-19 ha penalizzato tutti l’anno scorso. Quest’anno si inizia a intravedere una nuova normalità anche a livello sportivo, ma non per la disciplina dell’ex campione: «Quest’anno va un po’ meglio e a diverse discipline del ciclismo è stato permesso di gareggiare. Ma il trial, essendo uno sport umile e con un badget limitato, ha le stesse limitazioni di una disciplina come la mountain bike. Facendo un paragone: se il pubblico della mountain bike conta 100 mila persone e deve seguire un determinato protocollo, il pubblico del Bike Trial ne conta magari 3 mila ma il protocollo è lo stesso. Questo mi dà molto fastidio, una manifestazione può essere annullata perché gli organizzatori dell’evento non possono sostenere le spese. Credo che bisognerebbe ponderare meglio le condizioni, a seconda dell’evento e del pubblico che attira».
Niente Tokyo, forse Parigi?
Il Bike Trial non è presente alle Olimpiadi di Tokyo perché non c’è abbastanza massa critica di persone che praticano la disciplina, manca fra tutti la grande America che probabilmente darebbe l’accesso ai Giochi. Ma in futuro? «Non ho assolutamente la certezza che la mia disciplina sarà alle Olimpiadi tra 4 anni, potrebbe esserci, ma per il momento non si è ancora raggiunto un numero sufficiente di atleti per esserne certi. Negli ultimi tre anni, però, qualcosa si è mosso nel movimento. È perfino stato fatto un contratto per i Mondiali in Cina per portare questa disciplina anche lì. Anche in America qualcosa si muove, ma per ora non ci sono certezze. Io rimango comunque positivo. Non sono però geloso di altri sport più “grandi” che hanno più visibilità, perché noi possiamo vantare il fatto di essere una grande famiglia sia all’interno del gruppo ticinese, che vede la presenza di vari club senza dare importanza alla maglia che si veste, sia a livello nazionale. Infatti, sia a me sia ai ragazzi di cui mi occupo, è capitato di poter allenarsi con campioni del mondo e discutere con loro di un percorso di una gara e questo in altre realtà, dove girano più soldi, sarebbe impossibile. Siamo davvero una grande famiglia e questo è un enorme valore aggiunto. L’aspetto negativo è che si fa molta più fatica a trovare degli sponsor e il riscontro mediatico viene un po’ a mancare».
Una vita multitasking
È più bello allenare o partecipare? «Ogni volta che vado a una gara mi rivedo nei ragazzi e mi viene nostalgia, però nella vita le priorità cambiano. Adesso ho la mia famiglia, il mio bimbo piccolo, e sono sempre più convinto che quella di allenare è stata la scelta giusta. È vero che a 33 anni si potrebbe ancora praticare la disciplina, ma mi sono detto che aver dato 15 anni della mia carriera alle gare è sufficiente. Non nascondo che, comunque, continuo ad allenarmi, è la mia passione e ho ancora piacere a farlo».
Ciò che concretamente riempie una giornata tipo di Pascal Benaglia è comunque la scuola, dove insegna educazione fisica. Tanti impegni conciliabili con alcuni sacrifici. «I sacrifici ci sono, ma la scuola mi dà la possibilità di avere a disposizione parecchio tempo, tra vacanze scolastiche e weekend, per seguire l’attività di allenatore trial nazionale. Mentre per quanto riguarda il gruppo trial del Ticino, visto che gli allenamenti sono la sera in settimana, per me funziona molto bene perché come docente non finisco quasi mai dopo le 17. Per la mia famiglia cerco sempre di trovare del tempo, dedicandole i momenti che prima riservavo al trial».