"Chi mi conosce sa che voglio sempre vincere..."

Pablo Bentancur, 54 anni, nato in Perù e cresciuto in
Uruguay, è un famoso procuratore. Manager di calciatori, alcuni dei quali
famosissimi, da qualche anno è diventato un protagonista del nostro calcio.
Trasferitosi in Ticino una decina d’anni fa, Pablo ha contribuito prima alla
promozione del Lugano in Super League, assieme al presidentissimo Angelo
Renzetti e qualche settimana fa ha riportato il Bellinzona in Challenge League.
Un exploit non da poco.
Lui però precisa che “do soltanto una mano a livello sportivo, della società si
occupa mio figlio, che per il Bellinzona lavora tantissimo. E poi c’è Gabriele
Gilardi che invece gestisce l’aspetto burocratico e amministrativo del club”.
Un Bellinzona che cresce passo dopo passo e il mercato che sta facendo dimostra
le ambizioni della dirigenza e fa sognare i tifosi, che dopo tanti anni di
anonimato hanno voglia di tornare a respirare l’aria del calcio che conta.
Bentancur, perché proprio il Ticino?
“Dopo 25 anni in cui ho fatto il giro del mondo per il calcio, ho trovato in
Ticino un posto unico in cui vivere. Chi dice il contrario non conosce
realmente l’Africa, l’Oceania, il Sudamerica o il Centroamerica. Una cosa è
fare una gita turistica, un’altra è viaggiare per lavoro, dove si impara a
conoscere la realtà del paese. Il Ticino per me è tranquillità e sicurezza”.
Quando ha capito che il calcio sarebbe stata la sua vita?
“Il calcio per me è tutto, non so fare nient’altro. Non è facile lavorare in un
ambiente in cui gli altri si divertono. Il calcio è un posto in cui tutti
pensano di essere “specialisti” e pochi sono i vincitori. Non sono orgoglioso
tanto dei miei successi sportivi e economici, ma quanto per i miei inizi in
Sudamerica, che non sono stati facili. Adesso posso lavorare con grandi club
europei, che si fidano di me e riconoscono ciò che ho fatto nel calcio. Era
qualcosa di impensabile quando ho cominciato…”.
E l’esperienza a Lugano in che modo è stata importante?
“È stata fondamentale, il mio apprendistato nel calcio svizzero. Arrivai senza
conoscere nulla e quando iniziammo la stagione eravamo quasi ultimi. Mi
spaventai della discrepanza che c’era tra la Svizzera, nazione ricca e
organizzata e il suo calcio, davvero poco professionale. E poi mi accorsi della
rivalità che c’era tra i ticinesi per le loro squadre. A volte un po’ esagerata
e nociva per la crescita del calcio di questo Cantone”.
Di Renzetti cosa ricorda?
“Abbiamo lavorato assieme e siamo arrivati a un gran risultato. Ricordo ancora
adesso con emozione quando mi prese la mano a Cornaredo, nel giorno della festa
per la promozione e ricevetti l’applauso della gente. Più che gli applausi, che
fanno sempre piacere, rimasi soprattutto contento quando Angelo disse che ero
uno dal grande temperamento e che avevo portato professionalità nel club. Avevo
lavorato molto a Lugano, è vero, ma imparai ancora di più. Fu davvero una
grande esperienza”.
Lei e Raiola stavate per comprare il club.
“Adesso parlare di Raiola è facile e sicuramente in futuro la sua popolarità
crescerà ancora. Per me fu un onore quando Mino volle comprare il Lugano
assieme a me: avevamo in mente un progetto vincente che purtroppo non abbiamo
potuto realizzare. Riconosco che Renzetti ha poi fatto un bel lavoro e adesso
la nuova dirigenza ha assicurato una base solida per il futuro del club. Sono
contento che il Lugano sia finito in buone mani”.
Lei ha fatto tantissimi trasferimenti, alcuni addirittura milionari: cosa
significa arrivare a questi livelli?
“Non misuro i trasferimenti a livello economico o per quanta pubblicità creano.
Per me è più soddisfacente prendere un ragazzo umile, aiutarlo a fare una
carriera da professionista e vederlo crescere come uomo”.
Con Lei a Bellinzona c’è suo figlio Pablito che sta guidando la società.
“Mio figlio è un po’ diverso da me: per fortuna è un ragazzo riflessivo e
umile. È capace di avere buoni rapporti con i giocatori ed essendo giovane
riesce a parlare il loro stesso linguaggio. Ha capito che un dirigente ci
dev’essere soprattutto quando un giocatore ha problemi fisici, legali o
famigliari. Quando invece va bene non dobbiamo “rubargli” la scena”.
Con l’Avvocato Gabriele Gilardi, ex direttore sportivo del Locarno e ora
amministratore unico del club, avete trovato la persona che mancava, vero?
“Gabriele è il nostro bomber. Lo conobbi durante un’udienza in cui eravamo
rivali e capii il suo potenziale. È un vero maestro nel gestire un club
professionista. È una grande fortuna averlo con noi”.
È vero che lavorare a Bellinzona non è stato facile, almeno all’inizio?
“Sì, è così. Se a Lugano il rapporto con Renzetti fu più facile, in quanto
mi lasciò lavorare in tutta tranquillità, qui a Bellinzona ho sentito una
sfiducia iniziale. Ora vedo che le cose stanno cambiando, che i tifosi stanno
capendo che vogliamo il bene della squadra e che siamo intenzionati a portare
in alto i colori granata. Purtroppo quando sono arrivato ho avuto a che fare
con personaggi che erano nel Bellinzona soltanto per protagonismo, senza possedere
reali conoscenze del calcio”.
L’anno scorso avete vinto cambiando tre allenatori: un po’ strano, no?
“Chi lavora qui deve capire che qui si viene a vincere il campionato e che il
calcio è cambiato profondamente in questi anni. Gli staff sono più numerosi e
tutti usano la tecnologia. Ci sono applicazioni, GPS e match analyst: bisogna
restare al passo con i tempi”.
Cosa risponde a chi dice che la società è ancora “amatoriale” e che
dev’essere meglio strutturata?
“Chi dice queste cose si riferisce al “personale da scrivania”, come lo chiamo
io. Però la gente non sa che per la prima volta abbiamo l’appoggio totale
dell’ospedale di Bellinzona e della clinica di fisioterapia Rehability di
Lugano. In più abbiamo il dottor Bernasconi sempre disponibile, due preparatori
fisici, due fisioterapisti, tre assistenti allenatori e un match-analyst.
Preferisco spendere per i giocatori e per chi lavora sul campo, diversamente da
ciò che fanno a Chiasso”.
La passione in città sta tornando: se ne rende conto?
“Assolutamente sì. È una città che mi appassiona, stiamo parlando di tifosi che
hanno sofferto tanto e adesso stanno tornando a gioire per il calcio. Il premio
più grande per me sarebbe vedere il Comunale pieno”.
A questo proposito avete fatto un grande mercato: dove volete arrivare?
“Chi mi conosce sa bene qual è il nostro obiettivo. La cosa più importante è
che la squadra dia sempre tutto sul campo e che la gente esca soddisfatta dallo
stadio. Voglio che per gli avversari, giocare al Comunale sia un piccolo
incubo”.
Domani arriva il Monza: sarà una bella giornata di festa.
“Sono contento di avere al Comunale il Monza dell’amico Galliani, così come fu
bello andare a vedere un derby con Murat Yakin. Sono un uomo di calcio e per me
queste amicizie e questi incontri sono all’ordine del giorno”.
Grazie per questa intervista, che nasconde una piccola promessa che ora
possiamo svelare.
“Sapete che non amo parlare né fare interviste, ma vi avevo promesso che nel
caso fossimo stati promossi, ma soltanto vincendo il campionato, l’avremmo
fatta. E come vedete sono stato di parola…”.
Grazie Pablo, buon lavoro.