Musica

De Gregori tra alibi e ragioni

Compie 72 anni uno dei più grandi cantautori della musica italiana
Angelo Lungo
04.04.2023 08:11

Scorrevano veloci gli anni Sessanta, tumultuosi e forieri di speranze. Era un'epoca di passioni forti. Si respirava aria di rivoluzione. I giovani contestavano la Legge del Padre e ritenevano la famiglia un coacervo di ipocrisie. Una sorta di rito stantio e superato. La musica incitava a essere iconoclasti. All’improvviso sulla scena canora compare un inedito protagonista: il cantautore. È un artista che diviene un tutt’uno con le sue canzoni: scrive le parole, la musica e le interpreta. I testi hanno l’ambizione di essere colti, ironici. Hanno lirismo e contengono precisi riferimenti dello spirito del tempo. Sono canzoni che parlano di vita, di nostalgia, di solitudine, di disagio, di potere e di amore che non precipita nello sdilinquimento. Temi forti affrontati con l’indole di essere liberi e provocatori.

“L’ammirazione sconfinata per De André mi ha convinto a provare a fare questo mestiere. E poi Bob Dylan”. Francesco De Gregori è considerato il “Principe” dei cantautori, capace di attraversare generazioni, sofisticato e popolare, colto ma non retorico, all’apparenza ermetico. Un ricercatore di senso. Ha sempre giocato con il linguaggio e proposto riferimenti letterari, storici, politici. Capace, poi, con una frase di rappresentare lo struggente patimento di un innamorato non corrisposto.

De Gregori è “La storia siamo noi”, il cui significato è espresso chiaramente nel titolo. La storia è fatta dalle persone comuni, dal popolo e nessuno si deve sentire escluso. Non si ferma mai, è un processo inarrestabile, non si può restare al chiuso, saremo sempre trascinati e abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere. Sono coinvolti grandi personaggi e quelli che si sentono umili, non ci si può estraniare.

De Gregori è “La leva calcistica del ‘68”. Il calcio è un pretesto. Un'allegoria per poter parlare dell’esistenza. Sul prato viene inscenata la vita: vittoria, sconfitta, sudore, sofferenza e gioia. Ecco la debolezza di sbagliare un calcio di rigore, l’errore di chi ci mette il cuore e la passione e che solo all’apparenza compie uno sbaglio. È un perdente momentaneo, perché un grande giocatore, nella vita, lo si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. È un inno alla speranza, auspica che l’ego non travolga l’etica.

De Gregori è “Rimmel”, racconta di una storia d’amore terminata. Rimanda al trucco, al cosmetico, un qualcosa di artificiale che nasconde. Rimane qualcosa di chiaro e scuro, conclusione e consumo, per ricordare un groviglio di colpe o meriti, alibi e ragioni. Parla di profezie non avverate, di un bel gioco ma solo nella fantasia. Dove i quattro assi hanno un solo colore e quindi qualcuno ha barato, ha usato trucchetti. Ma occorre rialzarsi e continuare il percorso della vita.

“La vita è come un gioco da vivere perdutamente, a volte vinci il primo premio e poi ti accorgi che non serva a niente”.