Di chi è il calcio?

Il milanismo è quasi magicamente risorto. La vittoria nel derby ha riportato un equilibrio sostenibile. È bastato un colpo di testa: e Fonseca è passato da essere considerato un incompetente a essere ritenuto un grande stratega. Ibrahimovic, sui social, ha rilanciato la sfida e fatto sapere che lui e il Milan sono ambiziosi: sono destinati a salire in alto e intendono arrivare in vetta. I rossoneri sono rinvigoriti, e si vogliono porre come candidati al titolo. Le parole sono importanti, ma solo fino a un certo punto. Sarà il campo a emettere il verdetto, e a certificare se il nuovo modulo tattico ideato da Fonseca sia funzionale o meno. Ma a far discutere sono le considerazioni di Gerry Cardinale, molto loquace negli ultimi tempi. Ha sottolineato che non esiste “una correlazione tra spesa e vittoria”, sostiene che il sistema calcio sia da riformare, che va bene la rivalità, ma deve rimanere al campo. Poi servono cambiamenti per “riportare l'Italia a quello che era in termini di calcio globale”. Ricorda che la sua esperienza nel mondo dello sport è significativa e di qualità. La costruzione dello stadio è imprescindibile, altrimenti la crescita è limitata, ma trova solo ostacoli. Ma poi tocca il punto fondamentale. Di chi è il calcio? La risposta idealista è scontata: dei tifosi. Questa categoria avrebbe una prelazione etica. E l'avanguardia sarebbero gli ultras, i puristi: quelli che non retrocedono e sono dei guardiani attenti e pronti sempre a difendere i colori. Cardinale è stupito. Fa notare: “In America, chi spende i soldi per comprare le squadre, è il proprietario della squadra”. Non capisce: “In Italia non ha mai visto nulla di simile e i tifosi pensano che la squadra sia di loro proprietà”. Avverte: “Non spenderò come fanno in Arabia”. L'obiettivo è chiaro: “Vincere in modo intelligente”.