"Ecco l'Angelo che conosco e apprezzo"

Ieri sera, in occasione della
consegna del Premio al merito
sportivo della città di Lugano alla famiglia Mantegazza (Geo e Vicky) e ad Angelo Renzetti, Eugenio Jelmini, volto della RSI e grande amico dell'ex presidente del FC Lugano, ha voluto rivolgere la sua "laudatio" a un uomo che ha fatto tanto per il calcio luganese e ticinese, ma non solo.
Grazie a Jelmini per aver condiviso con i lettori de L'Eco dello sport questo bel ritratto, che trovate qui sotto nella sua integralità.
"Lasciatemi rivolgere un
caloro saluto a Geo Mantegazza che nella mia vita professionale ho
indirettamente incrociato in un momento emotivamente molto forte.
Mi hanno invitato a
presentare Angelo Renzetti a cui mi lega una conoscenza quarantennale che si è
trasformata col tempo in fraterna amicizia. Nei pochi minuti a disposizione è difficile
tratteggiare l’uomo, l’imprenditore e il dirigente sportivo. Ho deciso di
non toccare quest’ultimo campo, cioè la presidenza per 10 anni del FC Lugano e quindi i sette campionati di Super League, la finale
di Coppa svizzera e le due partecipazioni europee con uno dei budget più bassi
a livello nazionale. Ci penserà nell’intervista Enrico Carpani.
Parlerò brevemente di quello
che in tutti questi ambiti mi è parso soprattutto un tratto distintivo, il buon padre di famiglia, accogliente,
comprensivo, ma anche in preda alle emozioni come quando scendeva negli
spogliatoi a fine partita. Ma pure un imprenditore e uno sportivo coraggioso e
con visioni chiare, che nelle circostanze in cui viene messo all’angolo
dal destino o da persone, riesce a dare il meglio di sé e a uscirne in modo
brillante.
Da dove cominciare? Mi pare
di sentire mia moglie da lassù raccomandarmi di non “prendere il giro troppo
largo” come faccio di solito.
Non posso non risalire al 19
aprile 1954, lunedì dell’Angelo, quando a Pescara la signora Renzetti diede
alla luce il primogenito che chiamarono appunto Angelo e nessuno osa pensare
come l’avrebbero battezzato se le acque si fossero rotte nei giorni seguenti
dedicati ai santi Adalgisa, Anselmo e Laio.
Per l’Abruzzo Primo Levi coniò l’espressione FORTE
E GENTILE per sottolineare la capacità degli abitanti di resistere ai
destini avversi, la loro tenacia e il coraggio di guardare avanti. Doti che
parecchie generazioni di abruzzesi e pescaresi hanno messo in mostra emigrando
in terre anche lontane. Sono partiti da lì
Manuel Fangio, Dean Martin,
Madonna, Rocky Marciano, Michael Bublé e Sergio Marchionne solo per fare alcuni nomi.
Proprio il defunto manager
italo-canadese che rilanciò la FIAT scrisse che “esiste un mondo in cui
le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere. Non
dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno. Si
gettano nella mischia, assoporano il rischio, lasciano la propria impronta. Chi
abita in quel luogo non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è
sempre possibile migliorare qualcosa”.
Mi sembrano parole che
rispecchiamo il pensiero e la vita di Angelo Renzetti, ma anche quella di Geo e
Wicky Mantegazza.
Il padre di Angelo emigrò a Rothenburg negli
anni sessanta, raggiunto quasi subito dalla moglie ma non dai figli: il
ricongiungimento famigliare era vietato al 45% dei lavoratori immigrati perché
non domiciliati.
Dopo la prima elementare a Pescara, Angelo venne messo in collegio a Bellinzona dai padri somaschi, un bel periodo scandito da regole precise e con quotidiane partite a calcio e la domenica la passeggiata allo stadio comunale a seguire l’ACB.
Solo qualche anno dopo, finalmente, la famiglia (con l’affezionata sorella Patrizia) si riunì in Ticino non senza vicissitudini. Emblematica fu la ricerca dell’abitazione. Venne incaricata mamma Ada che arrivò in treno a Bellinzona dove ad attenderla c’era il figliolo di 8 anni. Non sapevano da dove cominciare e si diressero verso Daro e suonarono i campanelli. Dopo un po’ un tizio suggerì di spostarsi a Locarno dove forse la ricerca sarebbe risultata più agevole: stessa trafila e identico risultato, se nonché (era una giornata caldissima) arrivarono sfiniti in Piazza sant’Antonio e videro un cartello con scritto spaghetti a fr. 3.50. “Mai mangiato un piatto di pasta con tanto appetito e gioia” ricorda ancorta oggi Angelo.
Salto il resto della giovinezza fatta di sacrifici per aiutare la famiglia visto che in casa arrivava solo lo stipendio paterno, di qualche umiliazione tipica per un immigrato e via discorrendo.
“Hai in testa solo il pallone”: chissà quante volte Angelo avrà sentito questo rimprovero. Il calcio è stata (ed è) in effetti la sua grande passione ma anche l’ambito delle occasioni mancate, almeno da portiere. Dopo le giovanili a Locarno ci fu l’ingaggio da parte del Monza (serie B): era pronto per salto in prima squadra ma c’era il servizio militare di mezzo e la società aveva solo due posti nel più comodo Reggimento atleti e vennero attribuiti a titolari. La prospettiva di una naja di 18 mesi non si sa ben dove lo convinse a rientrare in Ticino, ancora Locarno e poi nel Bellinzona della promozione in DNA del 1976. In seguito era tutto pronto per il passaggio al Lugano ma una questione burocratica fece andare anche stavolta tutto a monte.
Forse era destino che dovesse diventare un immobiliarista di successo, lui che si era formato come disegnatore edile e aveva potuto firmare i primi progetti grazie alla moglie Loretta, prima donna a laurerarsi in ingegneria alla STS di Trevano.
Il seguito è un’escalation
rapida e un po’ folle: aveva la soglia del rischio alta, visioni a corto e lungo termine,
capacità di cogliere al volo le opportunità. Lo si vedrà in seguito anche
nell’attività decennale di presidente del FC Lugano.
Si lanciò nella costruzione
di 15 casette a Sant’Antonino (vendute tutte ad emigranti calabresi),
poi nel recupero in Valle Morobbia
di residenze unifamigliari non terminate da improvvisati imprenditori svizzero
tedeschi. Seguirono la costruzione ex novo del centro di Contone,
l’autosilo di Ascona e soprattutto l’acquisto clamoroso delle proprietà
immobiliari della SES, che aveva bisogno liquidità per acquisire Aziende
municipalizzate di Bellinzona (operazione poi respinta in votazione dal popolo).
Riuscì nell’impresa tra lo sconcerto dei più per questo parvenue che
non aveva il cognome di una delle grandi famiglie che da generazioni
dominano la nostra realtà. Tutto il resto è storia recente: Locarno,
Bissone, Paradiso, Muralto, Collina d’Oro, Lugano eccetera eccetera.
Ha costruito un migliaio
tra case e appartamenti e ora l’attività viene portata avanti dall’adorato
figlio Luca.
Gli è sempre piaciuto il tennis,
e lo ha giocato per diversi anni con discreti risultati. I colori bianconeri
deve averli nel DNA se è vero che, a parte i dieci anni di emozioni
intensamente vissute a Cornaredo, è tifoso dell’HC Lugano e della Juve. Ama la musica
leggera italiana e l’astrologia e da buon ARIETE promuove iniziative di continuo ed è un
tantino impaziente.
Il suo rimpianto più
grande (e lo dice spesso) sono state le lingue: “se le avessi padroneggiate
avrei fatto ancora meglio in ogni ambito.”
Negli altri apprezza onesta
e chiarezza, gli da fastidio l’ipocrisia, non porta rancore.
Sa giudicare bene le persone
e scegliere i collaboratori, le poche volte che sbaglia fatica però a
licenziare o a interrompere relazioni d’amicizia o d’affari.
Non è legato a nessun carro
ed è allergico alle camarille di certa politichetta nostrana. E’ una
sorta di idealista e infatti si è trovato in piena sintonia, pur se si frequentavano
poco, con il defunto sindaco Marco Borradori.
Un uomo generoso lo
definirei, dalle grandi visioni e dal cuore d’oro, magari troppo
schietto ma sempre pronto a perdonare e a rilanciare. Nel calcio come
nella professione e nella vita.
Caro Angelo, grazie di esistere.
(nella foto da sinistra Eugenio Jelmini, Angelo Renzetti e Luca Renzetti, figlio dell'ex presidente)