Calcio

"Ecco l'Angelo che conosco e apprezzo"

La Laudatio di Eugenio Jelmini, volto noto della RSI e amico di Renzetti, per il premio città di Lugano
Red.
12.10.2021 07:57

Ieri sera, in occasione della consegna del Premio al merito sportivo della città di Lugano alla famiglia Mantegazza (Geo e Vicky) e ad Angelo Renzetti, Eugenio Jelmini, volto della RSI e grande amico dell'ex presidente del FC Lugano, ha voluto rivolgere la sua "laudatio" a un uomo che ha fatto tanto per il calcio luganese e ticinese, ma non solo.
Grazie a Jelmini per aver condiviso con i lettori de L'Eco dello sport questo bel ritratto, che trovate qui sotto nella sua integralità.

 

 "Lasciatemi rivolgere un caloro saluto a Geo Mantegazza che nella mia vita professionale ho indirettamente incrociato in un momento emotivamente molto forte. 
Mi hanno invitato a presentare Angelo Renzetti a cui mi lega una conoscenza quarantennale che si è trasformata col tempo in fraterna amicizia. Nei pochi minuti a disposizione è difficile tratteggiare l’uomo, l’imprenditore e il dirigente sportivo. Ho deciso di non toccare quest’ultimo campo, cioè la presidenza per 10 anni del FC Lugano e quindi  i sette campionati di Super League, la finale di Coppa svizzera e le due partecipazioni europee con uno dei budget più bassi a livello nazionale. Ci penserà nell’intervista Enrico Carpani
Parlerò brevemente di quello che in tutti questi ambiti mi è parso soprattutto un tratto distintivo, il  buon padre di famiglia, accogliente, comprensivo, ma anche in preda alle emozioni come quando scendeva negli spogliatoi a fine partita. Ma pure un imprenditore e uno sportivo coraggioso e con visioni chiare, che nelle circostanze in cui viene messo all’angolo dal destino o da persone, riesce a dare il meglio di sé e a uscirne in modo brillante
Da dove cominciare? Mi pare di sentire mia moglie da lassù raccomandarmi di non “prendere il giro troppo largo” come faccio di solito. 
Non posso non risalire al 19 aprile 1954, lunedì dell’Angelo, quando a Pescara la signora Renzetti diede alla luce il primogenito che chiamarono appunto Angelo e nessuno osa pensare come l’avrebbero battezzato se le acque si fossero rotte nei giorni seguenti dedicati ai santi Adalgisa, Anselmo e Laio.

Per l’Abruzzo  Primo Levi coniò l’espressione FORTE E GENTILE per sottolineare la capacità degli abitanti di resistere ai destini avversi, la loro tenacia e il coraggio di guardare avanti. Doti che parecchie generazioni di abruzzesi e pescaresi hanno messo in mostra emigrando in terre anche lontane. Sono partiti da lì  Manuel Fangio, Dean Martin, Madonna, Rocky Marciano, Michael Bublé e Sergio Marchionne solo per fare alcuni nomi.     
Proprio il defunto manager italo-canadese che rilanciò la FIAT scrisse che “esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere. Non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno. Si gettano nella mischia, assoporano il rischio, lasciano la propria impronta. Chi abita in quel luogo non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è sempre possibile migliorare qualcosa”.

Mi sembrano parole che rispecchiamo il pensiero e la vita di Angelo Renzetti, ma anche quella di Geo e Wicky Mantegazza. 
Il padre  di Angelo emigrò a Rothenburg negli anni sessanta, raggiunto quasi subito dalla moglie ma non dai figli: il ricongiungimento famigliare era vietato al 45% dei lavoratori immigrati perché non domiciliati.

Dopo la prima elementare a Pescara, Angelo venne messo in collegio a Bellinzona dai padri somaschi, un bel periodo scandito da regole precise e con quotidiane partite a calcio e la domenica la passeggiata allo stadio comunale a seguire l’ACB.

Solo qualche anno dopo, finalmente,  la famiglia (con l’affezionata sorella Patrizia) si riunì in Ticino non senza vicissitudini. Emblematica fu la ricerca dell’abitazione. Venne incaricata mamma Ada che arrivò in treno a Bellinzona dove ad attenderla c’era il  figliolo di 8 anni. Non sapevano da dove cominciare e si diressero verso Daro e suonarono i campanelli. Dopo un po’ un tizio suggerì di spostarsi a Locarno dove forse la ricerca sarebbe risultata più agevole: stessa trafila e identico risultato, se nonché (era una giornata caldissima) arrivarono sfiniti in  Piazza sant’Antonio e videro un cartello con scritto spaghetti a  fr. 3.50. “Mai mangiato un piatto di pasta con tanto appetito e gioia” ricorda ancorta oggi Angelo.

Salto il resto della giovinezza fatta di sacrifici per aiutare la famiglia visto che in casa arrivava solo lo stipendio paterno, di qualche umiliazione tipica per un immigrato e via discorrendo.

“Hai in testa solo il pallone”: chissà quante volte Angelo avrà sentito questo rimprovero. Il  calcio è stata (ed è) in effetti la sua grande passione ma anche l’ambito delle occasioni mancate,  almeno da portiere. Dopo le giovanili a Locarno ci fu l’ingaggio da parte del Monza (serie B): era pronto per salto in prima squadra ma c’era il servizio militare di mezzo e la società aveva solo due posti nel più comodo Reggimento atleti e vennero attribuiti a titolari. La prospettiva di una naja di 18 mesi non si sa ben dove lo convinse a rientrare in Ticino, ancora Locarno e poi nel Bellinzona della promozione  in  DNA del 1976. In seguito  era tutto pronto per il passaggio al Lugano ma una questione burocratica fece andare anche stavolta tutto a monte.

Forse era destino che dovesse diventare un immobiliarista di successo, lui che si era formato come disegnatore edile e aveva potuto firmare i primi progetti grazie alla moglie Loretta, prima donna a laurerarsi in ingegneria alla STS di Trevano.

Il seguito è un’escalation rapida e un po’ folle: aveva la soglia del  rischio alta, visioni a corto e lungo termine, capacità di cogliere al volo le opportunità. Lo si vedrà in seguito anche nell’attività decennale di presidente del FC Lugano. 
Si lanciò nella costruzione di 15 casette a Sant’Antonino (vendute tutte ad emigranti calabresi), poi nel recupero  in Valle Morobbia di residenze unifamigliari non terminate da improvvisati imprenditori svizzero tedeschi. Seguirono la costruzione ex novo del centro di Contone, l’autosilo di Ascona e soprattutto l’acquisto clamoroso delle proprietà immobiliari della SES, che aveva bisogno liquidità per acquisire Aziende municipalizzate di Bellinzona (operazione poi respinta in votazione dal popolo). Riuscì nell’impresa tra lo sconcerto dei più per questo parvenue che non aveva il cognome di una delle grandi famiglie che da generazioni dominano la nostra realtà. Tutto il resto è storia recente: Locarno, Bissone, Paradiso, Muralto, Collina d’Oro, Lugano eccetera eccetera.

Ha costruito un migliaio tra case e appartamenti e ora l’attività viene portata avanti dall’adorato figlio Luca.  
Gli è sempre piaciuto il tennis, e lo ha giocato per diversi anni con discreti risultati. I colori bianconeri deve averli nel DNA se è vero che, a parte i dieci anni di emozioni intensamente vissute a Cornaredo, è tifoso dell’HC Lugano e della Juve. Ama la musica leggera italiana e l’astrologia e da buon ARIETE  promuove iniziative di continuo ed è un tantino impaziente. 
Il suo rimpianto più grande (e lo dice spesso) sono state le lingue: “se le avessi padroneggiate avrei fatto ancora meglio in ogni ambito.” 
Negli altri apprezza onesta e chiarezza, gli da fastidio l’ipocrisia, non porta rancore.
Sa giudicare bene le persone e scegliere i collaboratori, le poche volte che sbaglia fatica però a licenziare o a interrompere relazioni d’amicizia o d’affari.
Non è legato a nessun carro ed è allergico alle camarille di certa politichetta nostrana. E’ una sorta di idealista e infatti si è trovato in piena sintonia, pur se si frequentavano poco, con il defunto sindaco Marco Borradori. 
Un uomo generoso lo definirei, dalle grandi visioni e dal cuore d’oro, magari troppo schietto ma sempre pronto a perdonare e a rilanciare. Nel calcio come nella professione e nella vita.

Caro Angelo, grazie di esistere.

(nella foto da sinistra Eugenio Jelmini, Angelo Renzetti e Luca Renzetti, figlio dell'ex presidente)