Evenepoel Montmartre Morrison Parigi

Un milione, due milioni sulla strada e mille milioni
collegati dal mondo. E poi semafori. Pêre Lachaise. Can Can. Molin Rouge. E
davanti al Louvre, come per una puntura della piramide di vetro, la foratura, l’agitazione,
il cambio di bici, la spinta e via per gli ultimi due chilometri oltre la Senna
e lungo la Rive Gauche spinto dal vento rivoluzionario che soffia sempre su
Parigi, mai così bella, così giovane. E sotto la Tour Eiffel, il traguardo, varcato
scendendo alla bersagliera e poi a braccia aperte, un metro oltre la linea
della gloria, gli avversari a distanza irrimediabile.
Remco Evenepoel nell’Olimpo, nel giorno più bello e popolare dei Giochi, una
città intera riversata sulle strade strappate ai motori e tutte pavesate per il
ciclismo, lo sport proletario per definizione. Nemmeno c’erano le radioline, ah
che sollievo, i ragazzi lasciati all’intuito generoso e visionario. Evenepoel è
il numero uno in questa esibizione di coraggio e quanto sarebbe stato bello se
ci fosse stato l’altro Robespierre della bici, Tadej Pogacar. Ma chi non c’è
non conta.
Remco è sfilato come un Jim Morrison, una trama alla Fred Vargas, un Adamsberg
cocciuto e sensibile che se ne sbatte dei semafori, che ignari hanno continuato
a fare il loro ottuso lavoro, rosso verde verde rosso e il belga a non
rispettarli mai nella sua pedalata nell’Iperuranio. Nella folla composta e
tonitruante che sulla salita di Montmartre ha riscattato le idee della Comune
di Parigi mediante Remco Evenepoel, l’Eroe.
Scusate, l’emozione è davvero troppa. È delirio.
Indimenticabile.
(Foto Keystone)