Hanno vinto i più forti

La quarta finale è quella buona. Il Ginevra ha finalmente vinto il primo titolo della sua storia sconfiggendo il Bienne. Per Noah Rod è compagni è un trionfo meritatissimo. In testa praticamente dall’inizio alla fine della regular season, le Aquile hanno dimostrato una grandissima costanza. La sensazione era “ora o mai più”. Con diversi uomini cardini in là con gli anni e diverse partenze assodate o quasi. Una su tutte quella di Henrik Tömmernes. Lo svedese, il difensore più forte degli ultimi anni ad avere calcato il suolo elvetico, tornerà in effetti in patria. Lo stesso percorso pare essere riservato anche al funambolico e geniale compatriota Linus Omark. Il finlandese Valtteri Filppula, ormai 39enne, giocatore elegantissimo e playmaker di rara bravura, potrebbe ritirarsi. Insomma, ben difficilmente il Ginevra aprirà un ciclo di trionfi, anche perché ormai questi tempi sembrano terminati. La concorrenza è semplicemente troppa. Intanto però è arrivata la consacrazione, una vittoria figlia sì di grandissimi stranieri (oltre ai tre già citati vanno aggiunti Winnik, il goleador Hartikainen e Vatanen), ma sarebbe ingeneroso ridurre il tutto a ciò. Nelle file dei ginevrini hanno contribuito in maniera tangibile anche elementi elvetici. Qualche nome? I difensori Le Coultre e in particolar modo Karrer, i quali sono progrediti tantissimi. E come non citare il ticinese Alessio Bertaggia, reduce da una regular season assai tribolata e al di sotto delle attese, il figlio d’arte nei playoff ha decisamente fatto uno step in avanti. Un altro tassello fondamentale è stato Tanner Richard, vero leader e animale da playoff. Infine una citazione se la merita pure Pouliot, lui che svizzero lo è diventato. Con le sue reti pesanti ha davvero graffiato nella finalissima. Un altro che è rinato in riva al Lemano è Vincent Praplan, eterna promessa forse mai sbocciato veramente. La storia più bella è però quella di Robert Mayer. Il portiere ha alle spalle anni bui e difficili. Dal grave incidente in quad di 6 anni orsono, sino a diventare in sostanza persona non grata in quel di Davos. Timbrato da parecchi come bollito e finito, il 33.enne con le sue parate è stato uno degli artefici del titolo. Non si può non essere felici per lui. È la dimostrazione che si può vincere un titolo anche con un portiere svizzero che non risponde al nome di Leonardo Genoni.
Ovviamente tanti meriti vanno anche allo staff. Su tutti il direttore sportivo Marc Gautschi. Arrivato con poco credito, l’ex difensore leventinese, ha raccolto un fardello pesante, l’eredità di Chris McSorley, una vera icona in quel di Ginevra. Con pochi proclami e con un profilo basso, il nativo bernese è riuscito a costruire in soli 3 anni l’intelaiatura che ha portato i granata sul gradino più alto.
E che dire di Jan Cadieux? L’allenatore è stato bravissimo a trovare la quadratura del cerchio. Certo, aveva a disposizione dei signori fuoriclasse, ma gestirli non è poi così evidente. Ha sempre spinto la sua squadra al massimo, prova ne è il dominio mostrato nella stagione regolare. È stato inoltre bravissimo a non disunirsi e a mantenere la calma nel momento più difficile del campionato, ovvero nei quarti di finale dopo il 2 a 2 ottenuto nella serie dal Lugano. Cadieux è appena il terzo coach elvetico a conquistare un titolo dall’introduzione dei playoff. Prima di lui (se escludiamo Hans Kossmann e Kent Ruhnke, canadesi che hanno pure il passaporto elvetico) solo il mitico Arno Del Curto e Lars Leuenberger erano riusciti in questa impresa, con quest’ultimo che era arrivato sul treno in corsa. Il tecnico ha trovato un buon compromesso tra libertà di azione e rigore tattico. Il suo Ginevra ha dato spettacolo, ha vinto e convinto. Complimenti!