"I ciclisti di oggi non si divertono, fanno solo un lavoro"

Per anni doping e ciclismo è stato un binomio che sembrava indissolubile. Attualmente tutto tace, se ne parla poco o niente. Tre sono i grandi reprobi individuati nel mondo delle due ruote di qualche anno fa. Tre fuorilegge additati come tali presso l'opinione pubblica. Tre perfetti capri espiatori: Lance Armstrong; Riccardo Riccò; Danilo Di Luca. Sono stati ripudiati e posti nel dimenticatoio. Il ciclismo è lo sport che vuole essere solo epopea, rappresenta l'estensione del dominio dell'epica, è narrato con lo sfondo di una luce che brilla, ma ci sono anche le ombre. La società dello spettacolo procede giudicando in modo sommario, ma solo alcuni. Danilo Di Luca ha parlato in esclusiva con il portale spagnolo “Relevo”. Lavora come produttore di bici da corsa, ma anche bici elettriche da guidare in città. Il giudizio sul ciclismo attuale: “Oggi ci sono gli specialisti. Solo Pogacar è il fenomeno che vince tutto. Ai miei tempi venti o venticinque corridori avevano possibilità di vincere: ora lo possono fare due o tre al massimo”. Spiega: “Tutto è cambiato, il modo di correre, di affrontare la gara, il tifoso che le vedrà. Purtroppo è un mondo diventato chiuso, manca il contatto con lo sportivo”. Riporta la testimonianza di alcuni corridori che: “Sono sottoposti a un enorme stress. Guadagnano molto. Ma la carriera si è accorciata”. E i tifosi?: “È tutto più noioso. L'appassionato non vede le competizioni con la stessa illusione di una volta. Se non c'è Pogacar non c'è spettacolo”. Aggiunge: “Tra compagni di squadra non ci sono relazioni. Fanno un lavoro e non si divertono. E questo i soldi non possono darlo”. Sul doping: “Ci si dopa per vincere. Ai miei tempi il ciclismo era quello, era una pratica normale. Il sistema non concedeva alternative. Tutto sembra cambiato, quindi i nostri tempi sono serviti a migliorare il presente”. Perché solo alcuni sono stati scoperti?: “Sono stati più intelligenti di noi. In Francia, Belgio o Spagna proteggono i loro atleti. In Italia no, per invidia o altri motivi”. Nel suo libro (Bestie da vittoria pubblicato nel 2016) Di Luca scrive: “Non siamo eroi; siamo pazzi. Siamo stronzi. Per il ciclista l'importante è la vittoria. Non pensi al tuo ritiro, che ti prendano o ti ammali...”. E ancora oggi questa affermazione la conferma.
(Foto Keystone)