Hockey

"I miei figli sono tornati a casa piangendo..."

Luca Cereda ritorna sui suoi mesi difficili dopo la fine dello scorso campionato
Red.
20.10.2023 08:09

Oggi, sul Blick, Luca Cereda si è confessato. L’allenatore dell’Ambrì Piotta ha parlato del suo momento, ma soprattutto di una lunga estate, che l’ha anche fatto dubitare.
Luca Cereda, lei è alla sua settima stagione come allenatore dell'Ambrì-Piotta. In un matrimonio, si direbbe il maledetto settimo anno. Che effetto le fa?
“Sono sensazioni contrastanti. Abbiamo pensato a lungo se fosse giusto continuare, cioè io e il direttore sportivo Paolo Duca insieme alla società.. Perché la scorsa stagione abbiamo avuto la sensazione che non stessimo più andando nella stessa direzione. Dopo averci pensato a lungo, siamo giunti alla conclusione che aveva ancora senso per noi e per il club. Per me e Paolo, perché è un club speciale. È un grande onore, un grande orgoglio far parte di questa lunga storia”.
Quando è stata assunto nel 2017, la immaginava così questa esperienza da allenatore?
"All'epoca la mia figlia maggiore aveva sette anni. Le ho detto che prima o poi avrebbe sentito parlare di me, che suo padre non è così intelligente. Lo sapevo. E che ci sarebbero stati momenti in cui la pressione sarebbe stata grande. Qui siamo emotivi, la situazione può degenerare in entrambi i sensi”.
Lei è cresciuto in questo club, il suo cuore appartiene all'HCAP. Questo è sempre stato un vantaggio o uno svantaggio?
“Un vantaggio. Non ho dovuto spendere energie per cose che qui succedono e basta. Per esempio, il fatto che i giocatori bravi prima o poi se ne vanno. La realtà di Ambrì è normale per me. Certo, ogni tanto soffro un po' di più per questo. E sarebbe anche bello se per una volta tutto funzionasse alla perfezione, perché sappiamo cosa provocherebbe qui”. 
Lei è cresciuto a Sementina TI, un paese di 3000 abitanti, dove vive ancora con la sua famiglia. Riesce a passeggiare per il paese in modo rilassato?
“Ho bisogno di pace e tranquillità. Mi ricarico stando da solo. Per questo in Ticino non mi si vede molto in pubblico. Passo molto tempo a casa o nella natura, dove non incontro molte persone".
Il finale della scorsa stagione è stato, in un certo modo, "scioccante":
“È vero. I miei figli erano a una partita con mia sorella. Quando sono usciti di corsa dalla pista, i tifosi mi hanno insultato e hanno gridato anche contro di loro. Mia sorella è intervenuta, ma loro non si sono fermati, anzi hanno alzato ancora di più la voce. I miei figli sono tornati a casa e hanno pianto. Dentro di me mi sono chiesto: ne vale davvero la pena, tutto quello che faccio per questo club? Ne vale la pena per me, ma anche per il club? Perché lo so: l'Ambrì c'era prima di Cereda e ci sarà anche dopo Cereda".
Lei è stato minacciato personalmente?
“Non proprio, ma ho ricevuto qualche e-mail… Più tardi, dopo la stagione, sono arrivate le notizie positive. Ma bisogna mettere le cose in prospettiva e prendere le distanze dalle reazioni. Viviamo per l'hockey, è una parte importante della nostra vita. Ma c'è anche un'altra parte”.
Ha avuto paura, per la sua sicurezza e per quella della sua famiglia? (Luca Cereda, è sposato con la moglie Miriam (43 anni) dal 2008 e la coppia ha quattro figli: Emma (14 anni), Giulia (12 anni), Samuele (9 anni) e Mattia (3 anni).
“Non per la sicurezza, no. Ma ovviamente ero preoccupato. Dopo la scorsa stagione ero esausto e fuori forma, mentalmente e fisicamente. Mi sono chiesto: posso ancora trovare l'energia e la passione per affrontare un'altra stagione come quella? È stato un processo. All'inizio non avevo voglia di fare nulla. Poi, all'improvviso, la situazione è migliorata”.
Qual è stato il fattore scatenante?
“Le tre settimane con la Nazionale svizzera mi hanno fatto molto bene. Mi sono allontanato da tutto quello che c'era qui, sono tornato a essere motivato, anche ad allenarmi da solo. E mi sono venute in mente nuove idee".
Ha parlato con sua moglie della possibilità di lasciare l'incarico di allenatore dell'Ambrì?
“Ne ho parlato alcune volte con lei e anche con i bambini. I figli mi hanno subito detto di continuare. Mia moglie mi ha consigliato di seguire ciò che sento dentro e la famiglia mi sosterrà. Ma mi ha chiesto di non continuare come nei mesi precedenti. Hanno ritenuto che avessi raggiunto i miei limiti e che non mi sentissi più a mio agio. Mi hanno detto che dovevo cambiare qualcosa per essere il Luca di prima”. 
Lei oltretutto è una persona sensibile.
“Sì, è vero, sono una persona molto riflessiva. Paolo Duca è completamente diverso, si sfoga subito e poi è tutto finito. Con me è il contrario. Mi tengo tutto per me, cerco di digerire, penso a cosa posso fare meglio, metto in discussione le mie decisioni. Tutte le emozioni rimangono qui dentro di me (indica lo stomaco)". 
I giocatori sapevano come si sentiva?
“No, ho davvero tirato fuori tutta la mia energia, ma probabilmente hanno notato qualcosa. Abbiamo perso tutte le ultime sette partite in casa nelle qualificazioni. Il mio linguaggio del corpo era sicuramente diverso. Me ne sono accorto solo nella prima settimana di preparazione alla Coppa del Mondo con la Nazionale. Lì mi si sono aperti gli occhi”. 
In che senso?
“Ho sentito la buona energia dello staff. Certo, hanno aspettato un anno intero per questo momento.  Ho visto cosa può fare l'energia positiva. Poi ho giurato a me stesso che non potevamo essere come nelle ultime settimane di campionato ad Ambrì”. 
Non ha parlato in seguito con la squadra della sua lotta interiore?
“No, io e Paolo abbiamo semplicemente informato la squadra che stavamo continuando, pienamente motivati e convinti del nostro percorso".
Perché ha deciso di farlo?
“Perché sono convinto che sia la cosa giusta da fare”.