Il calcio interessa meno?

La pausa dei campionati nazionali consente di fare qualche piccolo bilancio, sportivo e non. E così, il giornalista italiano Paolo Ziliani ha fatto i conti in tasca alla piattaforma DAZN, che detiene (assieme a Sky), nella vicina Penisola, i diritti di trasmissione delle partite della Serie A. Si scopre che, a suonare, più che una campanella d'allarme, una vera e propria sirena antiaerea.
Nella stagione passata, infatti, si contò un totale di 207 milioni e 909 mila spettatori televisivi: rispetto all'anno prima (2022/23), ne mancavano all'appello 2 milioni e 373 mila, al netto del fatto che, nella stagione precedente, causa mondiali in Qatar, si erano giocati ben 4 turni infrasettimanali (caratterizzati dagli ascolti più bassi), mentre nel 2023-24 se n'era disputato uno solo. Il divario con la stagione 2022/23, al netto del citato calo dovuto ai turni infrasettimanali, appare impietoso: - 5,3 milioni di spettatori. Il sempre ben informato giornalista italiano ha fatto anche degli attenti calcoli analitici, che potete trovare sul suo pezzo in rete; tuttavia, la proiezione del dato sopra indicato, se non ci saranno cambi di rotta, indica che si potrebbe andare a chiudere con un calo di 13/14 milioni di spettatori. Sono numeri, questi, che vanno oltre il fenomeno, seppur incisivo, della pirateria.
Appare evidente una flessione d'interesse, nonostante il torneo appaia, almeno in queste prime giornate, più combattuto. Il problema, adesso, è capire quali siano le cause, per individuare delle soluzioni, sempre tenendo conto che, ovviamente, si tratta comunque di un divertimento non indispensabile. Tuttavia, ciò che è accaduto nel periodo pandemico ha reso molti consapevoli che l'industria dello sport professionistico produce anche tanti posti di lavoro "normali", e non solo i mega ingaggi dei fuoriclasse del pallone. Augurarsi, come fanno in tanti, un crollo del sistema, è quantomeno miope.
La problematica, va detto, riguarda anche altri sport: di calendari troppo fitti si parla, per esempio, anche nell'automobilismo (dove, a tal proposito, si vorrebbero abolire delle tappe europee classiche per introdurre gare in località esotiche ma che offrono molto denaro per avere in casa le monoposto di Formula 1), nel ciclismo e nello sci (la polemica tra Marco Odermatt e Michel Vion dello scorso anno, come ricorderete). In mezzo, le necessità televisive, con le grandi reti nazionali generaliste che cedono il passo ai network privati a pagamento, vista l'impossibilità, in diversi casi, di reggere il costo dei diritti.
I prezzi: sicuramente un aspetto, ma non solo. La realtà è che i gusti del pubblico si stanno modificando. Forse c'è un'offerta eccessiva: a furia di allungare il brodo, ormai non sa più di niente. Ma la nostra sensazione è che lo sport, come lo intendiamo in Europa, sia qualcosa di profondamente occidentale. E in quelle parti del mondo che stanno crescendo demograficamente e, di conseguenza, di peso geopolitico, forse non c'è tutto questo interesse per ciò che piace a noi. Il tutto, poi, tenendo conto della differenza di età media tra il nostro mondo e quello emergente. La sfida, insomma, è di quelle da far tremare i polsi ai vertici dello sport mondiale.
(Foto Keystone)