La farfalla sul parabrezza

Tre o forse quattro partite, non di più. Non ci fu altro tempo, né per me, né per altri, né per lui. Una volta l’anno, col papà si partiva da Villarfocchiardo di mattina presto. Le campane chiamavano a messa il paese, la partita chiamava noi. Più ancora del Torino, era Gigi Meroni a calamitarci fuori dalla Valle di Susa. Il papà me lo raccontava a mattina e cena, mi faceva vedere ritagli di giornale e assieme inseguivamo le rare immagini in bianco e nero che dava la tele. Questo tipo dai capelli e i baffetti alla Harrison prima che Harrison portasse capelli e baffetti così, dribblava tutti e la metteva in gol. Funzionava in questo modo inarrestabile. Messi sarebbe venuto molto dopo, ma a guardarli sembrano fratelli nella minuzia e nell’immensità.
Dopo aver mangiato un panino alla stazione e aver passato l’attesa sotto i portici di via Po, andavamo al Comunale tra una marea montante, colorata di rosso scuro. I Granata. Dentro, nella conosciuta festa di popolo, i miei occhi cercavano Gigi e non lo mollavano più, nemmeno quando stazionava all’ala con le mani sui fianchi in attesa che da altra parte del campo si sbrigasse qualche pratica.
Prendeva la palla, si girava, dondolava, scattava, giostrava, passava, riceveva. Una finta, due, tre, tiro. Gol, o parata qualche volta, ma di rado. Il papà non parlava, per non disturbare l’arte.
Ecco, l’arte. Nel raccattare ogni cosa che riguardasse Gigi, negli anni scoprii la verità: era un libertario con gallina al guinzaglio, con ragazza bellissima e casa sottosopra, dedito a vestirsi fuori moda (anticipandola), a disegnare cravatte che i Beatles mettevano l’anno seguente. Nel mezzo dei suoi libri e della sua dolce ribellione, partecipava a partite di calcio, dominandole con leggerezza implacabile. La Farfalla, lo chiamavano.
Come una farfalla schiacciata sul parabrezza, morì nel ’67, in mezzo a una strada. Gli fecero perfino un funerale religioso per il quale s’incazzarono in molti e chissà lui, ma forse lui no, che tanto non val la pena prendersela per cose futili. A casa, la mamma pianse, lei che non aveva mai visto un pallone.