La rivolta delle calciatrici

Piove sul bagnato? No, ma se fosse per il calcio femminile, ci sarebbe uno stop alla pioggia di milioni (di petrolio) sul calcio. Infatti, più di 100 calciatrici professioniste provenienti da 24 paesi hanno chiesto all'organo calcistico mondiale FIFA di rescindere l'accordo di sponsorizzazione con la compagnia petrolifera saudita Aramco.
L'Arabia Saudita “ha speso miliardi in sponsorizzazioni sportive per distogliere l'attenzione dalla brutale reputazione del regime in materia di diritti umani”, si legge in una lettera aperta del 21 ottobre indirizzata alla Fifa-Strasse 20, 8044 Zurigo, dove risiede la federcalcio mondiale.
La lettera è intitolata “Aramco-Sponsoring ist ein Mittelfinger für den Frauenfussball“, cioè “La sponsorizzazione di Aramco è un dito medio al calcio femminile”. Il trattamento riservato alle donne in Arabia Saudita parla da sé, si legge nella lettera. Aramco è la più grande compagnia petrolifera del mondo e appartiene per oltre il 90% allo Stato saudita. La FIFA ha annunciato la partnership con l'azienda ad aprile. Il contratto, valido fino al 2027, concede ad Aramco i diritti di sponsorizzazione per la Coppa del Mondo maschile del 2026 e per la Coppa del Mondo femminile del 2027, tra le altre cose.
Un portavoce dell'organo di governo mondiale, interpellato dal giornale Salzburger Nachrichten, non ha preso posizione se e come sia stata ricevuta la missiva, ma ha difeso la collaborazione spiegando: “La FIFA è un'organizzazione inclusiva con molti partner commerciali che sostengono anche altre organizzazioni nel calcio e in altri sport”.
Anche il calcio femminile trarrebbe beneficio dai contratti con Aramco e altre aziende, poiché “i ricavi da sponsorizzazione generati dalla FIFA vengono reinvestiti nello sport a tutti i livelli e gli investimenti nel calcio femminile continuano ad aumentare”.
Tuttavia, le 106 calciatrici residenti in tutti i continenti, non ci stanno. La giocatrice del Manchester City, Vivianne Miedema (nella foto Keystone), la capitana canadese Jessie Fleming e la campionessa mondiale e olimpica Becky Sauerbrunn (USA), criticano il fatto che una partnership con un'azienda dell'Arabia Saudita in particolare “farebbe regredire i progressi e lo sviluppo del calcio femminile che abbiamo così ben vissuto negli ultimi anni”.
“La leadership saudita non sta solo calpestando i diritti delle donne, ma anche la libertà di tutti gli altri cittadini”, si legge nella lettera. “Immaginate se ci si aspetta che giocatori o giocatrici rappresentanti o membri di movimenti LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender), molti dei quali sono elementi di punta del nostro sport, promuovano la compagnia petrolifera di Stato di un regime che criminalizza le stesse relazioni in cui vivono e per cui si battono, alla Coppa del Mondo 2027”.
Per esperienza vissuta nei paesi arabi (Riyad, capitale saudita, ospite del club Al Nasr), l’autore di queste righe conosce certi aspetti. Stadi vietati alle donne (che solo da poco tempo a questa parte possono guidare l’automobile), gioco del calcio femminile proibito fino a qualche anno fa, ora con l’imposizione di pantaloni lunghi (non per il freddo!), per dirne alcune. Lui e lei in banca non ci possono andare assieme: entrate e sportelli separati, lui di qua, lei di là.