Leoni: "Sto con la WADA, la droga non è doping"

La decisione della WADA di escludere dalla lista delle sostanze dopanti, stupefacenti come la cannabis, l’eroina, la cocaina o l’ecstasy, mi trova del tutto concorde. Il motivo è semplice: drogarsi e doparsi sono due pratiche diverse e di conseguenza, in logica e in diritto, vanno punite con differenti sanzioni.
La prima pratica infatti attiene a comportamenti della sfera personale, la seconda mira invece ad alterare una competizione sportiva attraverso l’imbroglio, modificando il risultato a vantaggio del dopato e a svantaggio degli altri. Non può quindi esserci dubbio, nell’ambito sportivo, sul fatto che il doping sia un reato più grave e vada dunque sanzionato con maggiore severità. A memoria non ricordo atleti - almeno nel recente passato e in qualunque disciplina - che abbiano cercato di vincere una gara grazie a una canna, una sniffata o una pera. Anche perché, perlomeno a lungo andare, avrebbero peggiorato le loro performance, anziché trarne indebito beneficio.
In termini di regolarità delle competizioni sportiva, il
compito principale della Wada, l’agenzia ha quindi sanato un errore nel suo
codice, ristabilendo un ordine nella gravità delle infrazioni e di
proporzionalità nelle pene.
C’è poi il tema scivoloso e contraddittorio dell’etica dello
sport e della salute degli atleti. Può chi si è fatto uno spinello, o peggio,
farla franca in pochi mesi in un mondo che vuole essere esempio di specchiati
comportamenti per i valori della gioventù? A volerla
prendere larga si potrebbero citare una miriade di episodi in cui le grandi
organizzazioni dello sport - ma anche i club e le singole star - sono state
tutto meno che un esempio di condotte virtuose. Lo sport è lo specchio della
società e spesso e volentieri si predica bene e si razzola malissimo. Ma senza
dilungarsi troppo, per non tediare il lettore, si potrebbero citare altri
reati, altrettanto gravi (se non di più) per il codice penale che non drogarsi,
per i quali non sono previste squalifiche sportive.
Ipotizziamo un atleta
fermato al volante ubriaco o per eccesso di velocità, oppure un altro pizzicato
per aver frodato il fisco, o ancora per aver rubato o, infine, per aver
picchiato qualcuno o qualcuna dopo una serata in discoteca. Tutti reati, tutti
comportamenti disdicevoli, in parte anche pericolosi per la salute, come fare
uso di stupefacenti. E allora? Li mettiamo sullo stesso piano del doping? Squalifichiamo
con pene esemplari tutti i calciatori ubriachi o evasori?
Temo che la verità, rispetto a certi moti moralizzatrici
di cui ogni tanto le istituzioni sportive si fanno promotrici (senza
arrossire…), sia molto meno sexy rispetto ai valori sbandierati. In realtà non
sembra contare tanto la gravità del reato commesso, quanto l’ipocrisia di come
lo stesso viene percepito dal pubblico e dall’ambiente. Perché delle due l’una.
O lo sport deve farsi carico di mettere al bando tutti gli atleti autori di
comportamenti riprovevoli fuori dal campo, oppure ognuno faccia il suo. E la
Wada, giustamente, ha distinto ciò che è doping da ciò che non lo è.