L'erba di Wimbledon è sempre più verde

È il tempo di Wimbledon. Rappresenta la tradizione che vuole resistere. Il passato che non intende essere dimenticato. Il cambiamento non è travolgente. Il torneo indica l'orizzonte dove c'è solo gloria. Seduce con una vigoria intatta. Il rito si rinnova e non perde né forza né fascino. Si gioca sull'erba. È una superficie che il circuito tollera ma le concede solo uno sprazzo di esistenza. Necessita cura e assistenza amorevole. Ci vuole talento per domarla. Il rimbalzo può ingannare, è necessario rimanere costantemente presenti a se stessi. Alla fine della seconda settimana è spelacchiata, calpestata dalla gomma dura delle scarpette dei tennisti. Scompare e rimane il terreno grigio. I giocatori indossano magliette bianche. Il colore del nitore. Il candore che rimanda all'inizio. Quando tutto comincia. È solo all'apparenza assenza. Non indica il niente ma il tutto. Invita alla purezza del gesto e della postura, al ritmo delicato, a una sorta di lentezza esistenziale. Non si deve correre forsennatamente, ma incedere lentamente. Certo nel mondo contemporaneo tutto fluisce e scorre celere. Ma ci sono posti dove vige ancora il silenzio. Il frastuono è depotenziato. Si entra in un luogo per rimanere assorti e in contemplazione. Uno stato naturale delle cose. Wimbledon 2023 ha un favorito assoluto: Djokovic. Il serbo vuole l'ottavo titolo, eguaglierebbe il maestro dell'erba: Roger Federer. A Londra conta 86 vittorie e 10 sconfitte. Sarebbe il quinto consecutivo, nell'impresa sono riusciti solo Bjorn Borg (1976-80) e Roger Federer (2003-07). Il 36enne ha vinto 11 Slam da quando ha compiuto i trent'anni. Ottanta punti lo separano dal diventare di nuovo il numero uno al mondo. La strada verso l'impossibile sembra percorribile. I pronostici indicano che ci sarebbe un solo ostacolo da superare: Carlos Alcaraz. L'altra concorrenza non spaventa: gioca nel campo della velleità.