Calcio

Professione: figlio

La Spagna scopre e celebra Davide Ancelotti
Angelo Lungo
12.05.2024 05:45

Si stava mettendo male per il Real; l'eliminazione era vicina, il tempo stava per finire; serviva una mossa, quella fatidica della disperazione; Davide Ancelotti si è alzato dalla panchina; è andato verso il padre, non per abbracciarlo, ma per gridargli: “Joselu! Dai! Joselu! Andiamo”. Questo mostrano le immagini trasmesse da una televisione spagnola. E Carlo ha ascoltato il figlio, l'attaccante è entrato, e la storia è cambiata. Davide ora non è più il figlio dell'allenatore, portato dal padre, uno dei tanti di uno staff pletorico. È rispettato dallo spogliatoio, ha una capacità grandiosa: anticipa la situazione, non ha paura, non tergiversa e agisce. Non è più un semplice secondo: capisce la tattica; organizza il lavoro sul campo; studia la strategia; pianifica i calci piazzati. Ha studiato, si è preparato. Per anni il suo ruolo è stato quello di preparatore atletico, ma poi ecco il grande salto, è diventato allenatore in seconda.  “Il mio obiettivo è creare tanti dubbi in mio padre, ma alla fine è lui che decide”, queste le sue parole. È l'emblema dell'allenatore ombra. È nato a Parma nel 1989, il calcio lo ha sempre amato, ha provato a diventare professionista, ma non è andata. Era un centrocampista a cui mancava il fisico, ma aveva una grande dote: l'intelligenza tattica, la partita la vedeva e la sapeva interpretare. Si è laureato e ha cominciato a seguire il padre: Parigi; Monaco; Napoli; Madrid. Si è evoluto, non si è fermato, e si è preso le sue responsabilità. È meticoloso, legge, studia ed interessato agli aspetti psicologici dello sport, parla cinque lingue. A Napoli lo accusavano di essere “raccomandato” e “bollito”. In Spagna lo hanno scoperto. Sostengono che integra l'esperienza del padre, la porta nella modernità. È stato lui a scegliere i rigoristi, nei quarti di finale della Champions, contro il City. Spiega: “La fame di trionfo la ritrovo nella necessità di dover dimostrare, e fugare il sospetto di essere il figlio dell'allenatore”. Scrive Massimo Recalcati: “Il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Ciascun genitore è chiamato a educare i suoi figli solo a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. Per questa ragione i migliori non sono quelli che si offrono ai loro figli come esemplari, ma come consapevoli del carattere impossibile del loro mestiere”.

(Foto Keystone)