Quattro interviste e una riflessione

Bastano poche
parole per scatenare nel tifoso una reazione.
Quelle di Spacek, ma soprattutto di Zwerger, che abbiamo ascoltato ieri sera a
Fuorigioco, non hanno certo lasciato indifferenti i tifosi dell’Ambrì Piotta.
Gli è stato chiesto del loro futuro, con la chiara intenzione di sapere se
sarebbero rimasti in Valle anche la prossima stagione.
Spacek, freddo come quando segna un gol e poi non esulta, ha liquidato la
questione con un “non ho parlato di niente finora, c’è ancora la seconda parte
di stagione. Voglio solo giocare. Ora sono qui, poi vedremo”.
È uno straniero si dirà e non tutti si innamorano della squadra in cui giocano:
oltretutto è soltanto alla seconda stagione in biancoblù.
Bisogna capirlo, è un professionista e quando non fa esercizio di verbale ipocrisia,
si esprime così. Punto. Senza quell’attaccamento, o romanticismo che dir si voglia,
che noi tifosi continuiamo a voler vedere anche dove non c’è.
E cosa dire allora di Zwerger? Lui sì che dovrebbe avere l’Ambrì nel cuore, uno
che ne ha vissute tante con questo club che in passato gli ha dimostrato grande
affetto. Dovrebbe essere uno dei simboli, un trascinatore, uno che almeno a
gesti dimostra dentro e fuori dal ghiaccio la sua passione per quello che fa. E
dove lo fa. E invece no, anche qui, tanta freddezza. Inattesa, pesante come un macigno.
“L’hockey è business e per il futuro non mi immagino nulla. Ha in mano tutto il
mio agente”.
Non una parola sull’Ambrì, sull’idea, seppur remota, di voler restare, di
trovarsi bene in questo club famigliare che lo ha sostenuto in alcuni momenti
non proprio facilissimi.
Anche lui, se sarà il caso, è pronto a partire, senza grossi rimpianti. È ciò
che sembra dalle sue parole.
Ha ragione Davide Mottis, ex presidente dei Rockets e già membro del comitato
dell’Ambrì, a dire che “alla fine è importante ciò che fanno sul ghiaccio”.
È un modo con cui il tifoso si protegge, con cui evita la delusione per un amore
non (completamente) corrisposto. Un sentimento che soltanto il tifoso può
sentire. Dovremmo essere abituati in questo sport a cui interessano quasi solo
esclusivamente i soldi. E invece no, ci restiamo ancora male. Per fortuna ci
passerà. Ci è sempre passata.
Sul fronte Lugano si sa che il portiere Koskinen non farà più parte della rosa
della prossima stagione. Con un contratto in scadenza, il club ha già fatto
sapere di voler puntare la prossima stagione su due portieri svizzeri.
Lui sembra rassegnato e le sue parole sanno di addio: non solo da Lugano, ma
forse anche dall’hockey. Vedremo. “A fine stagione farò le mie valutazioni e
poi le comunicherò”. Le ascolteremo, ma ovviamente per il club bianconero non
cambierà nulla. La speranza è che da qui a fine stagione il portierone riuscirà
a tirar ancora fuori il meglio di sé.
Si conclude con
Joly, che nonostante una caterva di gol e assist nelle ultime settimane, nemmeno
lui conosce il suo futuro. Se ne esce però con parole che fa sempre piacere
sentire: “qui è un bel posto, mi piacerebbe restare. La mia famiglia si trova
molto bene qui a Lugano”.
Certo, se arrivasse la chiamata della NHL, anche lui farebbe le valigie, ma
questo è un altro discorso. Un sacrosanto diritto. Un po’ il sogno di tutti.
Interviste che fanno riflettere, che riposizionano il tifoso e che ci fanno domandare,
“ma al giocatore interessa davvero la maglia che indossa”?
(Nella foto Keystone/Golay, Zwerger e Joly)