Calcio

San Siro non è Cornaredo

Difficile il mestiere del giornalista, quando dominano le televisioni a pagamento
Silvano Pulga
20.08.2024 06:30

Premessa: San Siro non è Cornaredo, e il numero di giornalisti accreditati presenti è, ovviamente, molto maggiore, con tutto ciò che ne consegue. Tuttavia, per i media non titolari dei diritti, gli spazi per informare sono decisamente ristretti. Vero che c'è una caccia disperata agli abbonamenti alle televisioni a pagamento, e quindi chi paga ha il diritto (ovviamente) di poter parlare per primo con i protagonisti: succede anche nella nostra realtà elvetica. Però, da noi anche gli altri hanno degli spazi dove incontrare i protagonisti e porre loro delle domande, magari differenti da quelle dei colleghi della televisione. Avendone la possibilità, si va a vedere la partita allo stadio per poter osservare i movimenti senza palla dei giocatori, per esempio, e per vivere l'evento dalla tribuna, sentire le emozioni del pubblico: tutte cose che le telecamere non sempre possono cogliere. Un aspetto importante, per un inviato, sono però le dichiarazioni dei protagonisti raccolte a fine gara. A volte può accadere di non condividere una sostituzione (o una mancata, magari) o, più semplicemente, ci si vuole confrontare coi protagonisti sull'esito della partita, sulle questioni tecniche rispetto alla prestazione, e molto altro, provando a immaginarsi cosa vorrebbero chiedere i lettori a un giocatore o a un allenatore. Il calcio (e non solo) non è matematica, e si possono dare interpretazioni differenti di un determinato fatto: e, va detto, sono proprio le opinioni il propellente che consente alle discussioni di decollare, e che fanno sì che i lettori cerchino un articolo. E, per un appassionato, non c'è cosa più bella che scambiarsi idee su questi argomenti. Ecco, in Italia farlo sta diventando complicato. I numeri sono differenti a livello di giornalisti presenti, i protagonisti sono stanchi dopo la partita, hanno già parlato coi media licenziatari, hanno voglia di andarsene, poca voglia di parlare se le cose sono andate non bene, ed è comprensibile la volontà dei club di tutelarli, limitando la durata delle conferenze stampa. Però, chi lavora può solo augurarsi di essere tra i prescelti che potranno fare una domanda o, magari, di avere la fortuna di ascoltare la risposta a una simile a quella che avrebbero voluto fare, posta da un collega più fortunato. Va poi detto che in altri ambiti (citiamo ciò che conosciamo, come il ciclismo e lo sci ai massimi livelli) c'è invece molto più spazio anche per chi non lavora per una televisione che detenga i diritti. Nel calcio di vertice, la realtà di casa nostra è quindi più "generosa" e, pur dando i giusti privilegi a chi paga, consente a tutti di poter fornire dei contenuti originali, al netto di tanti piccoli e grandi favori da parte degli addetti stampa dei club. Chi ricopre questo incarico è stato quasi sempre prima un collega dall'altra parte della barricata: e se magari, oggi, ha un ruolo differente che lo mette a volte in contrapposizione ai redattori delle testate, che vorrebbero ovviamente parlare con tutti in ogni momento, cerca anche di venire incontro alle esigenze di chi lavora. Certo, esistono i contratti, e siamo certi che le scelte dei club della vicina Penisola siano figlie di obblighi ai quali non possono, per contratto, derogare. Però, la strada che stanno percorrendo le televisioni a pagamento, oltre confine, non ci sembra quella giusta. Non è chiudendo la zona mista, per dire, impedendo così le interviste individuali, che si guadagnano abbonati. "La pirateria uccide il calcio" è slogan gettonatissimo, in questo periodo di inizio stagione e sottoscrizione di abbonamenti. Forse, ci permettiamo di dirlo, a ucciderlo sono anche certe politiche che complicano la vita di chi lavora per informare, dando al pubblico la sensazione di un'informazione uniforme ed eterodiretta. Noi, però, svolgiamo gran parte della nostra attività giornalistica sportiva in Svizzera: per fortuna, aggiungiamo oggi.

(foto Keystone/Crinari)