Tanto rumore per nulla

La rabbia e la preoccupazione dei giocatori sono logiche, hanno l'opinione condivisa che si gioca troppo. Hanno messo un limite: non si possono superare le 60 partite. Rodri, Sommer, Koundé, Carvajal, Courtois hanno alzato la voce. Tra promessa e minaccia si è udita una parola: sciopero. Ma la realtà dice che non succederà nulla. Rimane la protesta virtuale. L'espressione di un malcontento sarà contenuto nell'ambito della fiera delle illusioni. Chi potrebbe fornire una soluzione al problema sono: i club; le istituzioni. Le società hanno accettato una Champions allargata, perché riceveranno maggiori introiti. E se avessero più giorni liberi, attraverserebbero pure l'oceano per disputare amichevoli lucrative. Hanno bisogno di tanti soldi: devono garantire i lauti stipendi proprio dei calciatori. Il Mondiale per Club ha scatenato infinite polemiche, ma distribuisce denari, non quelli di cui si vociferava, ma guadagni sicuri. Le Federazioni non si sono opposte, quando dal nulla è stata creata la Lega delle Nazioni. E anche le Leghe sanno che meno partite significa meno entrate. Per cui la contestazione sindacale è solo paventata. E chi si fermerebbe? La Spagna? L'Inghilterra? E quale esito avrebbe? Matthias Sammer, dirigente del Dortmund, è stato schietto: “Come giocatore non puoi pretendere che lo stesso club che ti paga oltre 10 milioni ti dia più giorni di ferie”, lo farebbero scendere in campo lo stesso. Dietro a questa situazione, ci sono scontri di potere, e non poteva essere altrimenti, e vede coinvolte Fifa, Uefa e le varie Leghe. Il resto è una conseguenza intellegibile. I giocatori non son in grado di organizzare uno sciopero. Sono consapevoli che è impossibile realizzarlo. La copertura mediatica serve a difendere un presunto diritto, a supportare un interesse, a danneggiare politicamente un rivale.
(Foto Keystone)