Un giro di vite alla violenza nello sport

L’annuncio, in Ticino, è arrivato attraverso un Tweet di Norman Gobbi,
subito ripreso dalle principali testate cantonali. “E’ tornato il pubblico” ha
scritto il consigliere di Stato “ e con lui anche la violenza negli stadi di
calcio”. Serviva una stretta, secondo la politica: e la proposta ticinese è
stata così approvata all’unanimità da tutti i direttori cantonali di giustizia
e polizia, e sarà realtà, negli stadi e sulle piste, dalla prossima stagione
2022/23.
Come verrà applicata? Il modello italiano prevede l’emissione di una
tessera nominativa, con fotografia, sulla quale possono essere caricati
biglietti e abbonamenti. I posti sono tutti numerati e con seggiolini
(non sono previsti spettatori in piedi): la presenza della fotografia
sulla tessera consente agli steward di identificare lo spettatore all’ingresso;
dove non ci fosse, l’esibizione della tessera deve essere accompagnata da
quella di un documento d’identità personale.
Lo scopo è ovvio: in questo modo, si sa chi è seduto in un certo posto. Certo,
niente impedisce agli spettatori di cambiare seggiolino, una volta all’interno:
però, in caso di disordini, bisognerebbe spiegare perché ci si è spostati e,
soprattutto, provarlo. Conseguentemente questo sistema, accoppiato a una
videosorveglianza efficace, diventa un’arma formidabile in mano all’Autorità di
polizia, nella lotta contro la violenza in stadi, piste e palazzetti.
Per molti, però, questa misura equivale a una schedatura. Si dirà, da parte
dei favorevoli, che si tratta di una scelta in grado di prevenire gli
incidenti, a vantaggio di tutti. In Italia, quando fu adottata, trovò
naturalmente l’opposizione dei tifosi più accesi, mentre la maggioranza
dell’opinione pubblica (ancora toccata dai gravissimi incidenti che avevano
provocato la morte dell’Ispettore Raciti in Sicilia, e quelli seguiti al
decesso di Gabriele “Gabbo” Sandri, ucciso da un agente di polizia in un’area
di servizio autostradale, mentre si stava recando allo stadio), si dimostrò
favorevole o indifferente, con grande rabbia da parte del movimento ultras, che
sperava invece in un maggiore coinvolgimento di quest’ultima (“Oggi a noi,
domani a voi” era lo slogan più gettonato).
Certo, la Tessera del Tifoso (TdT) si è trasformata anche in uno strumento
lucroso, soprattutto quando le società si sono appoggiate a delle banche, che
si sono trovate ad avere a disposizione i dati personali di decine di migliaia
di persone non clienti, che hanno avuto la possibilità di contattare con
proposte commerciali e altro. In alcuni casi, per esempio, la TdT poteva essere
utilizzata anche come carta prepagata per ogni tipo di operazioni, anche
slegate dall’acquisto di biglietti d’ingresso allo stadio. E questo sarà
qualcosa che, in Svizzera, potrebbe infastidire, e che sarà quindi il caso di
monitorare con attenzione.
Diversa invece, per esempio, la posizione in un Paese che con la Svizzera
ha molto in comune: la Svezia. Fermo restando che anche qua il tifo violento,
in alcuni casi, ha creato grossi problemi (nel 2014, a Stoccolma, un tifoso
venne ucciso nel corso di uno scontro legato a un incontro di calcio); c’è
però, anche da parte di una percentuale della stampa e dei rappresentanti della
tifoseria “tranquilla”, una certa resistenza all’applicazione di misure rigide.
Da parecchi anni, nel Paese scandinavo, è in corso una vera e propria
guerra, da parte dell’Autorità di sicurezza, agli artifizi pirotecnici che, tra
l’altro, fanno scattare gli impianti antincendio degli stadi più moderni,
provocando lo stop delle partite. Ci è capitato di assistere a intervalli
lunghi anche 40 minuti, che hanno poi influito pesantemente sull’esito delle
partite medesime. Il sistema svedese prevede una scala crescente di misure, che
scattano quando accade qualcosa: quando, nelle scorse settimane, a Malmö i
tifosi si sono lanciati contro dei fumogeni accesi all’interno dell’Eleda
Stadion, le polemiche si sono arroventate, e sono andate avanti per giorni.
Di fatto, si contesta il fatto che la tutela della privacy, dei dati
personali e del libero arbitrio sia un bene superiore a quello del mantenimento
della sicurezza e dell’ordine pubblico. Viene anche sostenuto che l’intervento
della polizia sia particolarmente invasivo e sproporzionato, visto che gli
impianti sono moderni, con seggiolini costruiti in materiale ignifugo eccetera.
Dall’altra parte, si temono invece (nel caso specifico) gli effetto di un
incendio (magari di una grossa bandiera, o di uno striscione) che dovesse
scoppiare all’interno di uno stadio, in una zona con tante persone ammassate:
l’effetto della fuga potrebbe essere letale e, negli anni scorsi, in Europa e
non solo le tragedie, anche con tante vittime, sono state parecchie, fermo
restando che sono accadute quasi sempre in luoghi vecchi e inadeguati sotto
l’aspetto della sicurezza.
Ora, la Svizzera. Crediamo che anche qua il dibattito sarà acceso, ferma
restando che, in Ticino e non solo, pur essendo altissimo il rispetto della
libertà individuale, vi è una concezione di maggiore importanza di quella data
in Svezia del valore del rispetto dell’ordine pubblico, anche a costo di
rinunciare a qualcosa. La partita, insomma, è iniziata: vedremo come la misura
verrà realizzata, fermo restando che, dal punto di vista strettamente di
polizia, potrebbe davvero funzionare: in Italia, per dire, in diverse occasioni
il metodo ha consentito di risalire ai responsabili di incidenti (che, infatti,
adesso si sono trasferiti fuori dagli stadi, come nel 2018 a Milano in
occasione di Inter-Napoli, quando a trovare la morte fu il varesino Daniele
Belardinelli). Ma è il prezzo che potrebbe essere considerato elevato: affaire
à suivre, insomma.