Una scelta che fa discutere, un sogno che non era tale?

Ha fatto senza
dubbio scalpore la decisione di Gregory Hofmann di lasciare la NHL.
Tornato in Svizzera per il Natale, l’attaccante di Columbus ha deciso di non
far più rientro negli Stati Uniti.
Una scelta che ha subito scatenato reazioni diverse.
Dallo stupore frammisto ad amarezza del suo club (che per ingaggiarlo aveva
dovuto effettuare uno scambio di giocatori con Carolina), alle dichiarazioni
non proprio caramellose di Elvis Merzlikins, rimasto deluso dalla precoce resa
del suo amico e compagno di squadra.
La scelta di Hoffman è difficile da capire, soprattutto nel mondo dell’hockey,
dove la NHL rimane per ogni bambino che si avvicina a questa disciplina, il
sogno di una vita.
E chi ci riesce, chi sfonda questa barriera oltre oceano e sale sull’isola
felice, solitamente fa di tutto per rimanerci aggrappato. Anche con i denti.
Dietro alla scelta del giocatore, si dice, ci sia la nascita della figlia e la
volontà della famiglia di restare in Ticino. Motivazioni insindacabili che
travalicano qualsiasi aspetto sportivo, ci mancherebbe altro.
È anche possibile però che lo stesso Hofmann si sia reso conto, per sua natura
e carattere, di aver bisogno di altri stimoli e attenzioni, di dover essere al
centro di un progetto per poter rendere al massimo e sentirsi felice. In alcune
circostanze aveva già fatto riferimento a questa sua emotività, che spesso si
annida nell’animo di un giocatore, anche di un campione. Che resta comunque e
sempre un uomo.
A Zugo era il faro della squadra, colui che spostava gli equilibri: in NHL ovviamente
no.
Partire a 28 anni dal gradino più basso non è sempre facile, soprattutto senza un
contratto milionario in tasca, spinto “soltanto” dall’orgoglio per avercela
fatta e dal quel sogno di cui è sempre difficile vederne chiaramente i
contorni. A Gregory tutto ciò è probabilmente pesato.
Era anche possibile che la prossima stagione, da “free agent”, avrebbe trovato sistemazione
in un’altra squadra, in cui guadagnare molto di più.
Eh sì, perché in NHL, dove esiste un tetto salariale di 80 milioni di dollari e
spesso la prima linea costa attorno ai 30-40 milioni, c’è sempre bisogno di
giocatori affidabili che guadagnino 1,5/2 milioni. Elementi che non saranno mai
delle stelle, ma che rappresentano la forza oscura per ottenere certi successi.
Un po’ come successe con Pius Suter, che dopo il primo anno a Chicago, firmò a
Detroit per 2,5 milioni.
Tornando in Svizzera Gregory, che è entrato subito nella lista di Fischer per
le Olimpiadi, ripone il sogno nel cassetto.
Non si sa se con un piccolo dolore al cuore e soprattutto se in futuro
rimpiangerà mai questa scelta.
Spesso bisogna vivere le esperienze in prima persona per capirne davvero la
portata e il valore.
Hoffman lo ha fatto e ha deciso. Addio NHL. Ma forse non era questo il suo
grande sogno.
(foto Zocchetti)