Motociclismo

«Ero un pilota gentiluomo con una grande forza interiore»

A poco più di un anno dal suo ritiro, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Thomas Lüthi
Il trio di campioni del 2005: da sinistra Thomas Lüthi in 125 cc, Valentino Rossi in MotoGP e Daniel Pedrosa in 250 cc. ©AP/FERNANDO BUSTAMANTE
Maddalena Buila
07.12.2022 06:00

Una vita in sella. Undici anni in Moto2, una parentesi in MotoGP e un titolo iridato nel 2005 in 125 cc. Il 14 novembre 2021, all’età di 35 anni, l’ultima corsa, a Valencia. Senza però dire definitivamente addio, anzi. Ora è direttore sportivo della Prüstel GP, nonché mentore del giovane pilota Noah Dettwiler. A poco più di un anno dal suo ritiro, abbiamo fatto quattro chiacchiere con «Tom».

Signor Lüthi, dato che la vediamo particolarmente sorridente, iniziamo col chiederle come sta...

«Sto bene. Sorrido perché mi fa piacere fare una bella chiacchierata. Quando gareggiavo le interviste a volte erano per me motivo di stress e tensione. Non è infatti sempre stato facile gestire, tra le altre cose, la pressione dei media. Ecco, questo è sicuramente un aspetto del mio passato agonistico che ora proprio non mi manca (ride, ndr). Tornando alla domanda: sto bene, è stato un anno differente rispetto a quelli a cui ero abituato. Ciononostante, è stata una stagione molto impegnativa, ricca di viaggi. Ora sono contento di avere qualche giorno libero che spenderò a casa».

Nonostante non amasse particolarmente certi aspetti legati alla vita nel paddock, è rimasto comunque nel mondo dei motori. Oggi, infatti, lavora come direttore sportivo della Prüstel GP e funge da mentore ai giovani piloti…

«È vero, ma è una vita diversa. Continuo a essere convinto che la decisione presa un anno fa fosse quella giusta. Era il momento di smettere. Ora sono impegnato «dall’altra sponda», lavorando in un team non più come pilota, ma a livello manageriale. È stato un bel salto nel vuoto, in quanto tante cose mi erano nuove e sconosciute. Ma sono contento di essermi tuffato in questa nuova avventura, che è molto eccitante. Al contempo lavoro anche per la SRF, come commentatore tecnico delle gare di MotoGP. Anche questa nuova realtà mi sta piacendo molto. È bello poter condividere con il pubblico la mia esperienza».

Un salto nel vuoto molto stimolante, così definirei l'avventura abbracciata due anni fa
Thomas Lüthi, ex pilota svizzero

Lei è nato a Oberdiessbach, un paesino nel canton Berna. Ciononostante, ha raggiunto i massimi livelli del motociclismo. È stato difficile?

«Abbastanza, sì. Ciò che dico sempre è che devo molto alla fortuna, per essere riuscito a raggiungere l’apice di questo sport. Mi sono avvicinato al mondo dei motori grazie a mio papà, amante delle due ruote. Credo dunque che questo sport facesse parte del mio DNA già prima che iniziassi a praticarlo. Per una serie di fortunati eventi sono riuscito a partecipare a delle gare, arrivando a laurearmi campione nazionale nel 1997. Grazie ai miei buoni risultati, e - ancora una volta - alla fortuna, sono entrato nel campionato europeo e internazionale. Per molto tempo non ho però mai creduto che un pilota svizzero potesse praticare questo sport come professione, dunque per anni ho corso solo per hobby».

Come definirebbe la sua carriera in una parola?

«Una sola (ride, ndr)?».

Va bene, gliene concediamo più di una…

«Grazie (altra risata, ndr). Non saprei infatti proprio come sintetizzare tutti gli anni passati in sella in un solo termine. Se mi guardo alle spalle ammetto che ci sono dei momenti che mi piacerebbe poter cambiare. Ciò detto, sono felice di come siano andate le cose. D’altronde non funziona così solo nel mondo dello sport, ma anche nella vita di tutti i giorni. Ci sono attimi della nostra esistenza che forse modificheremmo, ma alla fine ci hanno portato dove siamo ora, e va bene così. Penso che la mia carriera sia stata positiva e ne vado fiero».

Una carriera di 20 anni, tra cui un 2004 così così e un 2005 pazzesco. Il primo caratterizzato da un infortunio, il secondo contraddistinto dalla vittoria mondiale nella categoria 125 cc. Come ha vissuto queste due stagioni diametralmente opposte?

«Nello sport sovente accade di dover far fronte a un infortunio, che spesso mette a dura prova soprattutto sul piano mentale. Nel 2004 per me è stato così. Ho dovuto trovare la forza per continuare a lavorare sodo e tornare presto al meglio della forma, anche se non era evidente. Col senno di poi, però, posso dire che questo episodio, come altri simili che mi sono capitati, mi ha insegnato tanto. Mi ha reso più forte. Mi ha fatto scoprire la portata del fuoco che arde dentro di me quando si tratta del motociclismo. E questa è stata una splendida scoperta, che mi ha permesso di tornare più forte di prima».

Un ritorno decisamente col botto...

«Già, quell’anno conquistai il mio titolo mondiale nella categoria 125. Nel 2005… caspita, davvero tanto tempo fa (ride, ndr). Ciononostante mi sembra ieri. Un successo che ha funto da punto di svolta per la mia carriera. Mi ha permesso di rimanere nel mondo dei motori. Ho un ricordo vivissimo impresso nella memoria: il momento in cui ho tagliato il traguardo a Valencia. Non ci potevo credere».

Nel 2018 c’è poi stata la sua esperienza nel massimo campionato di MotoGP in sella alla Honda Marc VDS. Una stagione che non si rivelò particolarmente felice. Un anno vissuto come una delusione o piuttosto come un successo per aver agguantato la più alta categoria del motociclismo?

«Direi la seconda opzione. L’anno in MotoGP ha rappresentato per me l’unica chance in carriera per entrare nella massima categoria. Che chiaramente per un pilota corrisponde al top delle ambizioni. Purtroppo non è stata una stagione fortunata. Il team crollò dopo un paio di gare a causa di screzi di natura pecuniaria tra il proprietario e il manager. La situazione, come detto, aveva tutta l’aria di precipitare nel giro di poco tempo, ma io decisi di rimanere in squadra il più possibile, per incamerare esperienza. Tirando le somme non è stato certo un periodo splendido, ma mi ha dato comunque tanto».

Poco più di un anno fa ha deciso di ritirarsi. La sua ultima gara è stata a Valencia, il 14 novembre del 2021. Che emozioni ha provato nel tagliare il traguardo per l’ultima volta?

«È stato un bel weekend. In Spagna c’erano tutta la mia famiglia e i miei amici. C’è stato spazio anche per qualche lacrima, come è normale che sia. Ma sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Ho quindi affrontato quel momento con un senso di leggerezza».

L'ultima corsa a Valencia è stata ricca di emozioni, ma ho provato anche un senso di leggerezza
Thomas Lüthi, ex pilota rossocrociato

Cosa ha pensato quando si è svegliato il giorno dopo il ritiro?

«Era un lunedì, e devo dire che stavo piuttosto bene. La sensazione di aver preso la giusta decisione non mi aveva abbandonato, continuavo a sentirmi leggero. Forse addirittura sollevato, in un certo senso. Inoltre, come tutti sanno, il mio non è stato un vero addio al mondo dei motori. Credo che questo aspetto mi abbia aiutato a vivere meglio quel weekend di saluti».

Come definirebbe la sua guida? Johann Zarco l’ha presentato come un «gentleman», un gentiluomo. È d’accordo col pilota francese?

«Decisamente sì (sorride, ndr). Talvolta ero fin troppo gentile (un’altra risata, ndr). Sotto questo punto di vista ho dovuto imparare molto negli anni. Da giovane, infatti, ero fin troppo buono. Non entravo nei duelli durante i sorpassi e non mostravo abbastanza cattiveria. Penso sia un aspetto che ha sempre fatto parte del mio DNA».

Avrebbe mai immaginato che alla fine della sua carriera avrebbe fatto il direttore sportivo di una scuderia e avrebbe funto da mentore per i giovani piloti?

«In realtà no. Ma per il semplice fatto che, mentre gareggiavo, non pensavo proprio a che cosa avrei fatto una volta smesso di correre. Ora sono molto contento del mio nuovo impiego. Mi impegno molto anche nel promuovere e aiutare a far progredire questo sport in Svizzera, aspetto che mi sta molto a cuore. Nel nostro Paese è ormai diventata una disciplina parecchio seguita, sarebbe bello ci fosse anche un bravo pilota elvetico sulla scena internazionale. Ora come ora sto lavorando con Noah Dettwiler, un giovanissimo ragazzo che compirà 18 anni all’inizio del prossimo anno. Spero potrà scrivere la storia del nostro sport».

Un consiglio per i giovani piloti? Mai arrendersi e lottare finché non si raggiunge l'obiettivo
Thomas Lüthi, campione iridato 2005

Saprebbe scegliere il momento più bello della sua carriera e quello più difficile?

«Evidenzierei tre momenti clou. Il primo è sicuramente il titolo iridato. Il secondo è il periodo in MotoGP. Nonostante non sia stato particolarmente positivo, mi ha permesso di toccare con mano la massima categoria. Un’emozione che non scorderò mai. Il terzo è l’insieme di tutti gli anni passati in Moto2, in cui ho raggiunto ottimi risultati, flirtando più volte con il successo mondiale. Il momento più difficile risale invece al 2013. Quando mi infortunai al gomito destro all’inizio dell’anno. Un altro pilota mi buttò a terra, senza che io avessi nessuna colpa. Inizialmente era addirittura in dubbio un mio possibile ritorno in sella per il resto dei miei giorni. Ricordo che, a livello mentale, fu una batosta tremenda».

Che consiglio dà ai giovani piloti, soprattutto svizzeri, che si avvicinano a questo sport?

«Mai mollare e continuare a crederci».