Gianetti: «Ogni giorno ho paura per i miei corridori, ma questo è il ciclismo»

«Provo un dolore immenso per la morte di Gino Mäder», ci dice l'ex ciclista ticinese Mauro Gianetti, attuale team principal e CEO dell’UAE Team Emirates. «Abbiamo perso un bravo ragazzo che stava facendo il suo mestiere. Il ciclismo è uno sport di squadra, ci si batte per arrivare primi al traguardo, ma l’agonismo finisce lì. Tutti si conoscono, tutti sono amici».
Gianetti non è d'accordo con chi, come il campione del mondo Remco Evenepoel, critica gli organizzatori del Tour de Suisse per quella discesa posizionata al termine della quinta tappa. «In questo momento doloroso, capisco che ci siano degli sfoghi. Sono naturali e comprensibili. Ma questo è il ciclismo», afferma il 59.enne di Isone. «Anche alla fine della Milano-Sanremo c’è una discesa, per dire. Se dopo quella dell'Albula ci fosse stata un’altra salita, i corridori non sarebbero mica andati più piano. Non sarebbe cambiato nulla. Le bici sono sempre più performanti e si va sempre più veloce. Ogni giorno, quando guardo i miei corridori, ho paura. Ma non solo in discesa. Anche in pianura il gruppo può viaggiare a 60-70 km/h, con i corridori a pochi centimetri l’uno dall’altro. Le cadute di gruppo sono frequenti. È successo anche in questo Tour de Suisse. Che dire, inoltre, delle volate, in cui si toccano gli 80 km/h? Cosa vogliamo fare? Solo arrivi in salita? Si possono certamente trovare degli accorgimenti per le volate. Ma le discese sono una componente importante. Se vuoi recuperare su chi sta davanti, spingi in discesa. E quanti campioni attaccano proprio in quei frangenti? Ripeto: questo è il ciclismo. Uno sport pericoloso. E ve lo dice uno che proprio il 15 giugno di tanti anni fa, proprio al Tour de Suisse, rischiò la vita in una caduta. Io piango per Gino. È devastante. Ma è il nostro sport».


Un altro ex corridore di casa nostra, Rubens Bertogliati, la vede allo stesso modo. «Le discese fanno parte delle tappe alpine del Tour de Suisse e l'arrivo a La Punt non è di certo una novità. I ciclisti, soprattutto quelli svizzeri, lo conoscono benissimo. A leggere certi articoli, sembra quasi che il traguardo fosse posto in discesa. Ovviamente non è così. C’era ancora un tratto di pianura prima dell’arrivo. Io sono ovviamente favorevole alla scelta di percorsi che tengano conto della massima sicurezza per i corridori. Ma è impensabile mettere delle protezioni su tutto il percorso. La sicurezza al 100% nel ciclismo è difficile. Ci sono variabili a cui si può prestare attenzione, come le curve e l’asfalto, ma altre non sono prevedibili: la pioggia, il caldo, gli spettatori, gli animali che attraversano. Si possono portare accorgimenti, soprattutto in certi tipi di arrivi. Ma nello specifico non me la sento di dare colpe agli organizzatori. È brutto da dire, ma credo che sia stato un errore del ciclista. Tecnicamente Gino era molto bravo. Magari ha valutato male la curva, magari ha urtato qualcosa. Dipende anche da come si cade. L’altro ciclista coinvolto, l'americano Sheffield, si è salvato. Mäder non ha avuto la stessa fortuna. È un giorno triste, Gino era un ragazzo benvoluto da tutti e ci mancherà molto».