A dieci anni dalla tragedia che si portò via il Lokomotiv

L’apparecchio, già diciottenne, avrebbe dovuto essere dismesso pochi mesi più tardi. Inoltre, era di quarta mano: prima della Yak Service – a cui per scarsa affidabilità in più occasioni era stato proibito di volare nello spazio aereo europeo – l’avevano infatti utilizzato altre tre compagnie, tutte di infimo livello. In aggiunta, pare che l’addestramento del pilota fosse carente. C’erano insomma tutti i presupposti per indurre il personale di volo, prima di imbarcarsi, a darsi una toccatina nelle parti basse. Discorso diverso per i passeggeri, ignari delle premesse e avvezzi per mestiere a prendere almeno quattro aerei a settimana: salendo la scaletta infatti pensavano soltanto alla nuova stagione di KHL, che per loro sarebbe cominciata l’indomani sul ghiaccio bielorusso di Minsk. Parliamo dei discatori del Lokomotiv Yaroslavl e dei loro accompagnatori, che venti minuti più tardi sarebbero tutti morti nella sciagura dell’aeroporto di Tunoshna il 7 settembre di dieci anni fa.
Una Babele di lingue
Immaginiamo che a bordo, durante il rullaggio, si scherzasse come al solito nella Babele di lingue tipica delle squadre KHL: nella fattispecie c’erano svedesi, cechi, lettoni, tedeschi, slovacchi, canadesi e naturalmente russi. I veterani Demitra, Salej e Skrastins, tutti 37.enni e reduci della NHL, probabilmente davano consigli ai virgulti in procinto di sbocciare come Suvalov (18 anni), Snurnicyn (19) e Sobcenko (20). Gli altri magari flirtavano con le hostess, di certo coach McCrimmon – all’esordio in Europa – rileggeva i suoi appunti per farsi un’idea più precisa del campionato che andava ad affrontare. Poi l’aereo si lanciò nella rincorsa che, in circostanze normali, gli avrebbe permesso di librarsi in aria.
Ma quella volta non fu così: benché il muso del bestione non volesse alzarsi – probabilmente uno dei tre motori era fuori uso – il pilota insistette nella manovra di decollo ben oltre il limite di sicurezza. Quando il velivolo infine si staccò da terra, la pista era già terminata, e andò ad impattare con la torre del radiofaro. La fusoliera si spezzò e la sezione di coda finì in acqua proprio dove il fiume Tunoshenka si getta nel Volga, mentre la parte anteriore si disintegrò al suolo. Califfi dai conti in banca milionari e debuttanti al minimo sindacale, padri di famiglia e ragazzi non ancora diplomati: ecco chi erano giocatori (26) e staff (11) del Lokomotiv Yaroslavl. Vite stroncate, famiglie devastate e la straziante incredulità che il mondo prova ogni volta che accadono tragedie capaci di portarsi via campioni acclamati o intere squadre sportive.
L’elicottero di Bryant
Ancora freschissimo, ad esempio, è il ricordo dello schianto in elicottero che, nella mattutina nebbia californiana, venti mesi fa uccise a 41 anni Kobe Bryant, fra i più grandi interpreti della storia mondiale del basket. A rendere ancor più terrificante l’incidente, il fatto che fra le altre 8 vittime ci fosse anche Gianna, l’adorata figlia tredicenne del Mamba. Un anno prima era stato invece il Canale della Manica ad inghiottire il Piper su cui viaggiava il calciatore argentino Emiliano Sala, appena acquistato dal Cardiff. Aveva noleggiato il piccolo aereo per tornare una corsa a Nantes a salutare i suoi ex compagni di squadra. Durante il volo di rientro, ai primi scossoni provocati dalla tempesta in cui il velivolo si era infilato, l’attaccante 29.enne fece in tempo a spedire agli amici un messaggio vocale che, fra il serio e il faceto, preconizzava la tragedia. Ciò che restava del suo corpo, intrappolato nel relitto, venne individuato soltanto due settimane più tardi, a 67 metri di profondità. Il club francese, insieme al biglietto di condoglianze, spedì alla società gallese un sollecito di pagamento: per la cessione del centravanti, infatti, non aveva ancora ricevuto un centesimo.
L’aereo dei brasiliani
Sulle montagne a sud di Medellin precipitò invece l’aereo dei brasiliani della Chapecoense nel novembre 2016, durante una trasferta di Coppa Sudamericana: il quadrimotore, anche in questo caso di quarta mano, era rimasto senza carburante. Partiti da Santos, i biancoverdi avevano fatto un primo scalo tecnico a Santa Cruz, in Bolivia, da dove ripresero il volo alla volta di Cobija, per effettuare un altro rifornimento. Temendo però che quella seconda sosta avrebbe ritardato il viaggio tanto da giungere a Medellin dopo le 22, cioè oltre l’orario di chiusura dell’aeroporto, il comandante – roba da matti – decise di tirare dritto. E ovviamente si ritrovò senza benzina. I morti furono 71 e fra i 6 sopravvissuti figuravano 3 calciatori e 1 giornalista, miracolato solo a metà perché venne poi stroncato da un infarto a 45 anni giocando a calcetto.
La nazionale dello Zambia
All’apparecchio dell’esercito che trasportava la Nazionale dello Zambia, diretta a Dakar per un match di qualificazione ai Mondiali del ’94, prese invece fuoco uno dei due motori e si inabissò nell’Atlantico al largo di Libreville, Gabon. Il pilota – probabilmente stanco dato che il giorno prima aveva già condotto la squadra da Mauritius a Lusaka – accortosi del guasto spense il motore sano invece di quello in fiamme, e l’aereo piombò in mare. Perirono in pratica tutti gli eroi del 1988, che alle Olimpiadi di Seul avevano bastonato 4-0 l’Italia di Tacconi, Ferrara e Tassotti. Si salvò soltanto il capitano Kalusha Bwalya – che agli azzurri aveva rifilato 3 gol – perché il PSV Eindhoven gli proibì di rispondere a quella convocazione in nazionale.
I rugbisti uruguaiani
Militare era anche il Fokker F27 su cui viaggiavano i giovani rugbisti uruguaiani dell’Old Christians Club, studenti del Collegio universitario di Montevideo, diretti a Santiago del Cile. Incapace di volare oltre i seimila metri d’altezza, l’apparecchio era costretto a fare lo slalom fra le vette andine, che in certi punti della Cordillera toccano quote anche maggiori. Fattibile, col bel tempo. Ma praticamente una roulette russa in un giorno di nebbia. L’ala destra colpì una montagna, l’aereo si spezzò e la coda precipitò portandosi dietro alcuni passeggeri. Persa dopo un altro impatto anche la seconda ala, infine la fusoliera per miracolo si appoggiò a una spianata nevosa non troppo ripida lungo la quale scivolò per un paio di km. Nell’incidente e nei giorni seguenti morirono 29 persone, mentre i 16 superstiti, sopravvissuti anche grazie al cannibalismo, furono tratti in salvo dopo due mesi e mezzo, la vigilia di Natale del 1972.
Lo United dei Busby Babes
L’aereo del Manchester United, invece, nemmeno riuscì ad alzarsi in volo dall’aeroporto di Monaco. Era il febbraio del 1958 e i Busby Babes, squadra dall’età media bassissima, tornando da Belgrado dopo un impegno di Coppa dei Campioni, avevano fatto scalo tecnico in Baviera. Ghiaccio, neve e fango costrinsero il pilota a diversi tentativi di decollo, il terzo dei quali fu tragico. L’Airspeed Ambassador, non volendone sapere di alzare il naso, sfondò le recinzioni e andò a schiantarsi contro un capannone stipato di carburante. Il rogo che ne scaturì uccise 23 persone (3 membri dello staff e 8 calciatori) fra cui il 21.enne Duncan Edwards, considerato il miglior talento europeo della sua generazione. Fra i sopravvissuti, oltre al tecnico Matt Busby, c’era anche Bobby Charlton, che divenne poi un’icona dei Red Devils e del calcio inglese.
Il Grande Torino
Arcinota, infine, è la sorte che toccò al Grande Torino dominatore del calcio italiano nel secondo dopoguerra, cancellato dallo schianto del suo aereo contro la Basilica di Superga. Forse però non tutti sanno che quel volo proveniente da Lisbona – come tutti quelli internazionali – avrebbe dovuto concludersi alla Malpensa, dove ad attendere i viaggiatori c’era il pullman della società, ma dove soprattutto c’era la Guardia di Finanza. Ma siccome giocatori e dirigenti granata trasportavano merce sottoposta a dazio, si scelse all’ultimo momento di atterrare in un campo-volo torinese, dove nemmeno esisteva l’ufficio doganale. Una soluzione, già adottata spesso in passato, che quella volta si rivelò fatale. Era il 1949, lo stesso anno in cui – recandosi a New York per riprendersi la corona mondiale dei pesi medi contro Jake LaMotta – il pugile francese Marcel Cerdan, compagno di Edith Piaf, morì con altre 47 persone quando il suo aereo impattò contro una montagna delle Isole Azzorre.