HC Lugano

Koskinen para anche la pressione: «È una delle parti migliori del gioco»

Il nuovo portiere finlandese del Lugano si presenta: l’esperienza in Russia nella squadra del cuore di Putin, i quattro anni in NHL con gli Edmonton Oilers e il trasferimento in Svizzera
Fernando Lavezzo
14.06.2022 18:22

 Mikko Koskinen, il nuovo portiere finlandese del Lugano, ha incontrato la stampa a Villa Sassa. Da lì la vista sulla città è magnifica. Dall’alto dei suoi due metri, ancora di più. Ecco la sua storia.

Fino a quattro anni fa, anche Vladimir Putin faceva il tifo per lui. Tra il 2014 e il 2018, Koskinen ha infatti difeso la porta dello SKA di San Pietroburgo, la squadra del cuore del presidente russo. «Mai incontrato», taglia corto Mikko, che in KHL ha vinto due titoli. «E spero di non incontrarlo mai». Nato a Vantaa, a un paio d’ore dal confine russo, il 33.enne finlandese si augura che la guerra non coinvolga mai il suo Paese: «Ciò che sta succedendo in Ucraina è terribile e insensato», dice.

Quattro anni allo SKA, altri quattro agli Edmonton Oilers, in una piazza molto esigente. Ora l’avventura svizzera, da straniero. Insomma, la pressione è il suo mestiere. «Noi portieri ci conviviamo, con la pressione. Io ne ho bisogno. È una delle parti migliori del gioco. Voglio competere, vincere. Anche qui, con il Lugano. Abbiamo una buonissima squadra, perché non provarci?».

Parare le critiche

Nel gennaio del 2019, durante la sua prima stagione con gli Oilers, Koskinen firmò un rinnovo triennale da 13,5 milioni di dollari. Una cifra importante, da portiere titolare, che ha avuto un peso non indifferente nei giudizi di critici e tifosi. Nelle ultime stagioni, Mikko non è mai stato il «numero 1» degli Oilers. Eppure quest’anno, con Mike Smith a lungo infortunato, si è messo in luce vincendo 27 delle 45 gare di regular season disputate. «Quando sei in pista, non è il tuo salario a definire il tuo valore», racconta Mikko. «Giochi e basta, cercando di fare del tuo meglio. Ci sono state delle speculazioni nei media, ma in generale a Edmonton ho trascorso quattro anni molto belli. Ho potuto giocare in una grande organizzazione, con compagni di squadra eccezionali quali Connor McDavid e Leon Draisaitl, probabilmente i due migliori attaccanti del mondo, ma soprattutto due persone meravigliose. Il nostro obiettivo era vincere la Stanley Cup e purtroppo non ci siamo riusciti, perdendo la finale di Conference con Colorado. Ma la passione che circonda gli Oilers resterà per sempre con me. Spero che in futuro possano alzare quel mitico trofeo».

Alti e bassi

Lo scorso gennaio, Koskinen venne criticato pubblicamente dal suo head coach. David Tippett (poi esonerato) lo indicò come colpevole per una serie di sconfitte. «Ci sono stati momenti difficili, non voglio mentire. Ma nello sport si vive di alti e bassi. Io sono soddisfatto di quest’ultima stagione. Ho giocato metà delle partite e ne ho vinte parecchie. Se guardo indietro, a Edmonton solo il terzo anno è stato deludente. Non ero al mio livello, ho accettato le critiche. Non posso dire che gli Oilers e i loro fan mi abbiano trattato in modo scorretto. Ripeto, è una comunità passionale. Proprio quello che speravo di trovare in Nordamerica: dei tifosi caldi, che avessero davvero a cuore la loro squadra. So che a Lugano troverò la stessa cosa».

Ho due bambini piccoli e volevo trascorrere più tempo con loro. Il calendario di NHL ti costringe a stare lontano da casa per settimane. Non mi andava più

Prima la famiglia

Koskinen aveva ancora i numeri per giocare in NHL. «Ma in cuor mio sentivo che quel capitolo era chiuso. Ho due bambini piccoli e volevo trascorrere più tempo con loro. Il calendario di NHL ti costringe a stare lontano da casa per settimane. Non mi andava più. La famiglia è la cosa più importante della mia vita e stavolta l’ho messa al primo posto. Qui a Lugano ho l’opportunità di giocare in un grande club, in un posto stupendo e in una lega di alto livello. Mi sono bastati due giorni in città per capire di aver preso la decisione migliore. Non vedo l’ora di iniziare questa avventura».

Prima di firmare, Mikko ha parlato con qualche ex bianconero: «Soprattutto con il mio amico Jani Lajunen, che ha giocato qui per tre anni raggiungendo la finale nel 2018. Tutti quelli con cui ho parlato mi hanno confermato l’ottimo livello del campionato svizzero. Questa, per me, era la cosa più importante. A 33 anni ho ancora fame. Ho firmato un biennale, ma non significa che smetterò di giocare nel 2024. Voglio andare avanti ancora a lungo e farlo in un contesto stimolante come questo».

L’etica del lavoro

Con l’allargamento a sei stranieri, i portieri d’importazione stanno diventando una moda in National League. «So che altri estremi difensori finlandesi giocheranno in Svizzera la prossima stagione. Ad esempio Janne Juvonen ad Ambrì, che però non conosco personalmente. Che dire? Sarà probabilmente più difficile segnare in questo campionato. Spero soprattutto che sia più difficile segnare al mio Lugano. Mi aspetto molto da me stesso. So di poter giocare ai livelli che mi hanno permesso di vincere in KHL e di guadagnarmi un contratto in NHL».

Mikko non ha ancora incontrato Niklas Schlegel: «Mi hanno detto che è bravissimo, formeremo un bel tandem. Spero inoltre di poter insegnare qualcosa ai giovani Fatton e Fadani. Mi piacerebbe trasmettergli la mia etica per il duro lavoro. Senza quella, non si va da nessuna parte. Bisogna impegnarsi a fondo e credere totalmente in se stessi. Io tra i 15 e i 18 anni non ero così bravo, ma non volevo fare altro nella vita. Ho continuato a lavorare sodo, a inseguire il mio sogno».

Giocavo in strada con i ragazzi del vicinato ed ero il più giovane di tutti. Non ricordo se fossi io a voler fare il portiere o se mi obbligassero gli altri, fatto sta che mi piaceva

L’hockey dall’alto

Koskinen è finito in porta sin da bambino: «Giocavo in strada con i ragazzi del vicinato ed ero il più giovane di tutti. Non ricordo se fossi io a voler fare il portiere o se mi obbligassero gli altri, fatto sta che mi piaceva. Mi divertiva lanciarmi su quei potentissimi slap scagliati da pochi metri di distanza».

Da allora, Mikko è cresciuto parecchio. In tutti i sensi, ma soprattutto in altezza: «Essere un portiere di due metri ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Da sempre convivo con le battute e con qualche cliché. Mettiamola così: per me è più facile coprire la porta, ma i movimenti sono una sfida più complessa. Non ho ancora smesso di imparare a usare il mio corpo nel modo migliore».

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