Il personaggio

«I miei record sott’acqua trattenendo il respiro»

Cristina Francone, atleta del Flippers Team Tenero e campionessa mondiale di apnea, racconta di sé e del proprio sport
Cristina Francone.
Maddalena Buila
09.07.2021 06:00

Cristina Francone ha 45 anni, è nata in Italia e da più di 20 vive in Ticino. Ha 4 figli, lavora come infermiera e la sua giornata tipo non comincia mai dopo le 6 o si chiude prima delle 22. La COVID-19 le ha messo un po’ i bastoni tra le ruote, ma è poi diventata un trampolino di lancio per Belgrado, dove si sono disputati i Mondiali di apnea. Si è portata a casa due record del mondo e una medaglia d’oro.

Cristina ha praticato per molti anni il nuoto pinnato facendo anche parte della Nazionale dal 1998 al 2000. Dopo una pausa di 15 anni si è avvicinata nuovamente a questa disciplina e ha poi incontrato l’apnea. «Per caso sono venuta in contatto con questo mondo», racconta. «Ho conosciuto il mio attuale allenatore e ho deciso di provare iniziando con l’endurance, un’apnea di velocità con gare a tempo. Inzigata dal mio coach, ho provato anche l’apnea dinamica sulle distanze e ho scoperto un mondo che non avrei mai immaginato: me ne sono subito innamorata».

Il suo backgroud sportivo l’ha portata ad ottenere velocemente dei risultati, anche se era una neofita: «Nel 2019 mi sono guadagnata la Nazionale con un ottimo campionato europeo arrivando quarta. Ho chiuso la stagione con una grande determinazione nel voler diventare consapevole della mia apnea». Poi, però, è arrivata la pandemia: «È stato un anno e mezzo di motivazione altalenante, tanti allenamenti, niente gare e una situazione lavorativa, essendo infermiera, molto impegnativa. È stata una lotta contro i pensieri di mollare tutto, ma ho tenuto duro e con l’arrivo di questa primavera mi sono data degli obiettivi ambiziosi, tentando a maggio un record del mondo. Poi ne sono arrivati due! Grazie anche all’allenatore della Flipper Team di Tenero, Dimitri Kalas, sono arrivata ai Mondiali al top della forma ottenendo un titolo che sogno da quando sono bambina. Non riesco nemmeno a descrivere ciò che ho provato uscendo dalla vasca a Belgrado. Non ci credevo, ero così felice che non ho potuto contenere le lacrime di gioia. Ancor più emozionante è stata la cerimonia di premiazione, quando sono salita sul gradino più alto del podio e ho sentito l’inno suonare per me: non immaginavo quanto potesse essere bello».

Il Mondiale è stato un successo, ma la gara della sua disciplina preferita, la dinamica con la monopinna, non è andata altrettanto bene. «Era una sfida agguerrita, ho tirato un po’ troppo e ho perso coscienza. Dopo questa stagione incredibile, ho ancora quella fame che mi permetterà di allenarmi con altrettanto impegno per ritentare un risultato d’eccellenza».

«Consapevolezza di me»

Grazie all’apnea, Cristina è diventata più riflessiva e gestisce meglio lo stress: «Quando sei sott’acqua devi controllare emozioni legate al fatto di non poter respirare. Riuscire a rimanere calma anche in una situazione dove viene a mancare il respiro, mi permette in tutti gli altri ambiti di mantenere il controllo agendo razionalmente. Sott’acqua il segreto è gestire le proprie emozioni, che durante le gare arrivano anche in maniera prepotente. Saperle accettare ti permette di fare una bella prestazione. Impari poi a farlo anche nella vita».

Quali sono i pensieri che affiorano sott’acqua? «Variano, ma si attraversano delle fasi che sono sempre uguali», spiega Cristina. «Appena partiti, si attraversa una fase relativamente facile, perché l’aria è ancora satura d’ossigeno. Poi arriva la parte difficile: dopo circa un minuto si sente una prepotente e improvvisa fame d’aria, dunque si cercano dei pensieri distraenti, come guardare il proprio riflesso sul fondo della piscina oppure immaginare di nuotare nel mare. Nella terza fase si passa in narcosi: sale la CO2 nel sangue e si diventa un po’ storditi. Bisogna dunque riattivarsi e cercare di richiamare tutta l’attenzione su quello che si sta facendo, altrimenti c’è il rischio di perdere contatto con se stessi e addormentarsi, come un colpo di sonno al volante. Si applicano degli automatismi preparati in allenamento per cercare di uscire dall’acqua non troppo tardi. Le gare, infatti, non terminano uscendo dall’acqua, ma validando il protocollo di chiusura: si esce sulla corsia, si dà l’okay e si mantengono le vie aeree fuori dell’acqua per 20 secondi. Solo allora il giudice, se tutto è andato bene, mostra il cartellino bianco e la gara finisce. In caso contrario si viene squalificati. Come qualunque altro sport, non è pericoloso se è praticato con sicurezza e rispetto delle regole. Anche il perdere coscienza, chiamato blackout, non comporta - anche da studi medici - nessuna conseguenza, né danno cerebrale».

Un allenamento alternativo

Per la stragrande maggioranza di chi la pratica, l’apnea è più mentale che fisica. Cristina, arrivando da uno sport molto atletico, la interpreta in maniera diversa: «Mi alleno tantissimo (4-5 volte alla settimana con il nuoto pinnato) imparando a mettere nella parte atletica delle nozioni di apnea. Questa disciplina logora molto mentalmente e per me una stagione con troppo lavoro mentale sarebbe insostenibile. Io sono però un’anomalia, il primo anno sembravo un fuoco di paglia, poi ho dimostrato che, con un approccio molto diverso dagli altri, in 2 anni sono cresciuta raggiungendo risultati come 3 record del mondo in 2 mesi». Ma cosa si dice del suo modo di allenarsi? «Continuano a dirmi che non è la strada giusta, ma io e il mio tecnico proseguiamo con questa linea che ci ha dato e continua a darci ragione».

COVID-19 e opportunità

La disparità tra il suo sport e altri in cui c’è molta più visibilità e guadagno fa tanto male a Cristina, che pare però vedere il bicchiere mezzo pieno. «La pandemia ha già dato un colpo di mano in questo senso: le competizioni si sono svolte a porte chiuse, ma si potevano trovare tutte in streaming. Non avere il pubblico presente ma trasmettere le gare sui social è stata una vetrina incredibile. Spero che riaprendo le porte alle strutture sportive rimanga la trasmissione in diretta che dà modo a chiunque di seguire le gare, appassionarsi a uno sport e magari iniziare a praticarlo, perché è questo il segreto: più praticanti ha un’attività sportiva, più la disciplina ha visibilità e il campione ha un tornaconto. Se la disciplina non è nemmeno conosciuta, le prospettive di guadagno e di essere sponsorizzati sono poche. La diffusione sui social delle attività “minori”, solo per numero di praticanti e visibilità, ci permetterà di crescere, magari anche a livello economico. Un titolo mondiale come quello che ho conquistato non mi porta infatti da nessuna parte, il prossimo anno avrò comunque tutte le mie spese da sopperire. Può essere faticoso, ma sono molto contenta e gratificata per la mia grande stagione».