Il Dortmund in finale e l'YB forse campione, la settimana speciale di Stéphane Chapuisat

«Chappi». Più che un soprannome, una leggenda. Stéphane Chapuisat è stato il primo svizzero a conquistare la Champions League. Lo ha fatto con il Borussia Dortmund, di cui è divenuto un simbolo abbattendo la barriera delle 100 reti. Oggi lavora per lo Young Boys, avversario del Lugano questa sera al Wankdorf. E, considerati gli eventi di questi giorni, ci è parso il momento perfetto per chiamarlo.
Il 1. giugno sarà a Wembley per provare a spingere il Borussia verso un nuovo trionfo europeo?
«È possibile. Ma, al momento, non posso assicurarlo. Di sicuro non mi perderò il match. Nel 2013, in occasione dell’ultima finale di Champions League persa contro il Bayern Monaco, fummo invitati in quanto ex giocatori del club. Sarebbe bello esserci di nuovo».
In qualità di capo scout dello Young Boys non è dunque interessato alla finale di Coppa Svizzera e ai giocatori di Lugano e Servette, in campo il giorno seguente al Wankdorf?
«Non la metterei in questi termini. La verità è che conosciamo molto bene questi e gli altri elementi dei club elvetici. Li affrontiamo a più riprese durante la stagione e se dovessi mancare alla finale di Berna non credo sarebbe grave».
Potrebbe essere una settimana speciale per Stéphane Chapuisat. Martedì, suggerivamo, l’accesso del «suo» Borussia in finale di Champions. Domenica - forse - il titolo di campione svizzero con lo Young Boys.
«Sono ancora un grande tifoso del Borussia ed è magnifico ciò che la squadra di Terzic è riuscita a compiere contro il PSG. Ammetto di aver sofferto parecchio davanti alla tv e, ripensando anche a come era clamorosamente sfuggita la Bundesliga 2022-23, sono felice che il club sia riuscito subito a risollevarsi. Non era evidente. Per quanto riguarda l’YB, calma. Non è ancora fatta. Però, sì, siamo allo sprint finale e ci troviamo in ottima posizione grazie ai risultati ottenuti nelle ultime settimane. Prima di spingerci troppo in là con i pensieri, comunque, ci attende la partita contro il Lugano. Che è un’ottima squadra».
Per l’ultimo atto di Londra avrebbe preferito il derby contro il Bayern Monaco?
«Beh, sì, si sarebbe trattato di una bella rivincita dopo la finale del 2013. E di un avversario meno temibile rispetto alle ultime stagioni. Con il Real Madrid i ruoli sono chiari. Gli spagnoli sono i favoriti, mentre il Borussia Dortmund vestirà i panni dell’outsider. Un po’ come accadde a noi nel 1997, al cospetto della Juventus. Ma sappiamo com’è andata a finire. In un match secco i valori in campo tendono ad appiattirsi».


Restate i soli gialloneri ad aver conquistato la Champions, nel 1997. Vi sono le condizioni per ricreare la magia di allora?
«Perché no? In fondo, anche all’epoca trovammo il modo di accedere all’ultimo atto nonostante le prestazioni altalenanti in campionato. Pure questo Borussia ha incontrato alcune difficoltà in Bundesliga e vederlo arrivare fino in fondo in Europa, inutile negarlo, ha rappresentato una sorpresa. Ma giunti a questo punto, anche da sfavoriti, tutto è possibile».
Con Kobel, un altro svizzero potrebbe salire sul tetto d’Europa. La Nazionale si presenterà quindi a Euro 2024 con Xhaka (campione di Germania e potenzialmente di Europa League), Akanji (possibile campione d’Inghilterra e vincitore della Champions 2023) e Sommer (campione d’Italia). Agli Europei del 1996, la Svizzera poteva contare solo sui suoi titoli e quelli di Sforza. La dimensione del calcio rossocrociato è cambiata radicalmente?
«È così. A cambiare, però, è stato pure il calcio. Non bisogna infatti dimenticare che prima della sentenza Bosman le società potevano schierare solo tre stranieri. Noi partimmo all’estero in questo contesto. Insomma, in un’epoca molto differente. Oggi, al contrario, la Nazionale può approfittare di diversi elementi che hanno potuto e saputo imporsi nei maggiori campionati europei. E il fatto che si tratta pure di vincenti, di giocatori in grado di disputare match di un certo peso, potrebbe senz’altro rivelarsi un fattore decisivo per i rossocrociati. È ciò che speriamo, consapevoli che nel frattempo sono tuttavia cresciute anche le aspettative».
Detto questo, nei migliori 15 giocatori svizzeri della storia il Blick ha piazzato Chapuisat al primo posto e non Xhaka o Shaqiri. Segnare un’epoca come fece lei conta più dei singoli risultati?
«Difficile dirlo. E di nuovo poiché si tratta di epoche sportive diverse. Naturalmente è un riconoscimento che mi rende fiero. Prima del sottoscritto, riuscire a sfondare all’estero come svizzero era molto complicato. Così come lo era per la Svizzera accedere a un Mondiale o a un Euro. Le nuove regole citate in precedenza e l’ottimo lavoro svolto a livello giovanile hanno permesso alla Svizzera di cambiare status. E, potenzialmente, di ambire a un risultato davvero importante in un grande torneo. Non è ancora stato il caso, ma sono persuaso che prima o poi accadrà».
Un passo separa il Borussia Dortmund dalla gloria. E lo stesso vale per l’YB, che in caso di successo questa sera contro il Lugano di fatto ipotecherebbe il titolo. Il secondo consecutivo. L’opinione pubblica ha dubitato eccessivamente del suo club o, in effetti, è stata una stagione più complicata del previsto a Berna?
«Quando inizia una nuova stagione i contatori si azzerano. La concorrenza si rafforza per cercare a sua volta di avere successo. E, se penso all’evoluzione di club come Lugano, Servette e San Gallo, riuscire a spuntarla sempre non è scontato. Nessuno ti regala il titolo svizzero. Di più: le società svizzere di punta devono spesso fronteggiare molti cambiamenti in rosa. E trovare il giusto equilibrio di campionato in campionato è una sfida. È una questione di realismo, di lavoro quotidiano, non di semplici pronostici che ti vogliono primo con decine di punti di vantaggio».
Dopo un’annata come quella agli sgoccioli, con cessioni di peso e una gestione del collettivo non ottimale, il capo scout dell’YB avverte maggiore pressione in vista della prossima stagione?
«Allo Young Boys siamo una squadra. E migliorarsi è un obiettivo costante del club, non solo a fronte di questa stagione che vogliamo chiudere con un nuovo titolo. Dopodiché, e malgrado sia molto complicato, cercheremo di presentarci già alla ripresa degli allenamenti del 17 giugno con una rosa la più completa e competitiva possibile. Anche perché gli altri club non resteranno a guardare».


A proposito di concorrenza: in questi mesi avete seguito da vicino alcuni profili del Lugano?
«I giocatori interessanti, in casa Lugano, non mancano. Ma non è così semplice. Per i club svizzeri è sempre più difficile convincere un concorrente a lasciar partire un proprio elemento di spicco. A prezzi ragionevoli, quantomeno. Basti pensare a cosa è successo la scorsa estate, con il Basilea che aveva tentato invano di allontanare Jashari da Lucerna».
Era dal 2001 che i bianconeri non flirtavano con la vetta del massimo campionato elvetico. All’epoca festeggiò il suo GC. Ma qual è il Lugano più forte? Quello di Morinini o la formazione guidata da Mattia Croci-Torti?
«Entrambe le squadre sono interessanti. La differenza, forse, risiede nella solidità del club attuale, da tre anni oramai stabilitosi ai vertici del calcio svizzero. Il Lugano gioca bene, ha le idee chiare e se a ciò aggiungiamo il progetto di nuovo stadio, ecco che abbiamo o avremo presto di fronte un club con tutti i mezzi per vincere il titolo».
Sempre nel 2001 lei si laureò capocannoniere della LNA con 21 reti, insieme al bianconero Christian Gimenez. Oggi il miglior marcatore della Super League è fermo a quota 13. Che cosa le suggerisce questo dato?
«In effetti è una stagione un po’ particolare sotto porta. Manca un vero bomber, anche se non per forza è un male. Significa che vi sono più giocatori in grado di trovare la via della rete. E, di riflesso, che all’infortunio del centravanti di turno è possibile porre rimedio. Una ragione potrebbe risiedere pure nelle coppe europee, con i club partecipanti chiamati a far ruotare i propri attaccanti per il bene della squadra».
