Calcio e politica

Il drammatico paradosso iraniano: «Il popolo tiferà per gli Stati Uniti»

Stasera la squadra di Carlos Queiroz inseguirà il sogno di uno storico accesso agli ottavi di finale — In patria, però, la rivoluzione in corso non permette di seguire con coinvolgimento il torneo: la Nazionale è associata proprio al regime che in molti vorrebbero destituire
© AP Photo/Vahid Salemi
Nicola Martinetti
29.11.2022 06:00

Questa sera, al cospetto degli Stati Uniti, l’Iran sarà padrone del proprio destino. In patria, molti tra coloro che ancora oggi non godono del medesimo beneficio, continuano nel frattempo a battersi per ottenerlo in una sanguinosa rivoluzione. Proprio per questo la sfida odierna, per quanto potenzialmente storica dal punto di vista sportivo, passerà verosimilmente in secondo o terzo piano per milioni di iraniani. Così come del resto il Mondiale in generale. «Per ovvi motivi, l’attenzione della popolazione è attualmente focalizzata su altro - ci spiega Farsin Banki, ex professore universitario elvetico-iraniano nato proprio nel Paese del Medio Oriente -. La partita contro gli USA verrà trasmessa in ogni caso. In differita di qualche minuto e, se necessario, tempestivamente censurata qualora vi fossero contenuti non apprezzati dal regime. Ma ripeto, nonostante la passione che gli iraniani nutrono verso il calcio, in questo momento non vi è tempo per le distrazioni».

Uno strumento di propaganda

Già. Del resto negli ultimi tempi il pallone è finito inevitabilmente sullo sfondo nel Paese sul Golfo Persico. «Tanto che le partite del campionato nazionale vengono costantemente rinviate - ci racconta Fariborz Kamkari,  regista e sceneggiatore iraniano di origine curda attivo in Italia -. Quelle che invece si giocano, spesso vedono i calciatori scendere in campo con il lutto al braccio. E non vi sono esultanze quando si segna. In onore di quanto sta accadendo nel Paese, ovviamente, ma anche in segno di solidarietà per i colleghi come Voria Ghafouri e Parviz Broumand, arrestati per aver messo in discussione le autorità. Insomma, lo sport stesso suggerisce come sia il momento di pensare ad altro. E probabilmente se non vi fossero state pressioni da parte del regime, la Nazionale iraniana nemmeno sarebbe partita alla volta del Qatar». Cosa che invece la selezione di Carlos Queiroz ha fatto. Non, stando a Kamkari, totalmente per sua volontà. «Da sempre le autorità iraniane investono e puntano forte su sport e cultura per diffondere la loro propaganda. La Nazionale di calcio non fa differenza, per questo le autorità hanno voluto riceverla in pompa magna prima della partenza per la Coppa del Mondo, dove auspicano che possa ottenere grandi risultati. La popolazione però lo sa, e per questo la vede più come la squadra del governo islamico, che non dell’Iran».

Un autogol clamoroso

Giocatori e staff tecnico, nel frattempo, si trovano fra l’incudine e il martello. «Sono obbligati a sottostare alla volontà del regime - prosegue Kamkari -. Che li minaccia costantemente per ottenere ciò che vuole. Prendendo di mira i rispettivi cari, oppure sostenendo che in caso di inottemperanza delle richieste, verrebbe loro imposto di effettuare il servizio militare». Eppure, in occasione della sfida inaugurale contro l’Inghilterra, i giocatori hanno comunque deciso di non cantare l’inno nazionale. Un autogol clamoroso per il governo, un gesto accolto «con felicità da tanti iraniani, sia in patria sia all’estero - rileva Banki -. Anche se in molti nemmeno hanno potuto vederlo, perché le autorità hanno semplicemente censurato quel momento, mostrando le immagini del pubblico e non dei giocatori. Una reazione questa decisione l’ha comunque suscitata, perché già a partire dal secondo match contro il Galles - seppur sussurrandolo - i calciatori sono tornati a cantare l’inno. E hanno verosimilmente dovuto farlo, per evitare di incorrere in drastiche misure punitive al loro rientro».

La presenza del regime in Qatar

Chi invece ha deciso di volare in Qatar per seguire il «Team Melli», come viene soprannominata la selezione iraniana, è incappato in diverse spiacevoli sorprese. «In molti, se nei giorni precedenti al viaggio avevano espresso il loro dissenso verso il regime, non hanno ricevuto il visto d’entrata - spiega Kamkari -. Parliamo di tifosi, ma anche giornalisti e altri interessati. Il regime iraniano ha ottenuto i nominativi di ogni suo cittadino intenzionato a prendere parte alla manifestazione e ha espresso i suoi desiderata alle autorità qatariote, con le quali hanno un buon rapporto. Tanti non sono nemmeno riusciti a entrare nel Paese, dunque». Chi invece ce l’ha fatta, non è comunque scampato al controllo delle autorità. «Sia in occasione del match contro l’Inghilterra, sia per quello contro il Galles, funzionari del governo iraniano presenti allo stadio hanno impedito che i tifosi del Team Melli potessero portare all’interno dell’infrastruttura oggetti come bandiere o striscioni che inneggiavano alla rivoluzione e alla destituzione del regime. Molte donne hanno inoltre testimoniato di aver riconosciuto funzionari governativi, che sembra abbiano preso nota di coloro che si trovavano sugli spalti. Del resto per le donne, in Iran, andare allo stadio è vietato. Quelle che si trovavano in Qatar, ora hanno paura» rileva Kamkari.

Nessun gesto contro il governo

Stasera, in occasione della sfida contro gli Stati Uniti, vi sarà comunque chi andrà a sostenere la Nazionale in loco. Ma in patria il sentimento, a sentire Kamkari, sarà ben diverso. «Come già in occasione delle altre sfide la popolazione farà il tifo per gli avversari, perché spera di veder perdere la “selezione del regime”. È una cosa unica al mondo. Il popolo ha ad esempio celebrato - sì, celebrato - il k.o. contro gli inglesi. Mentre le autorità e gli organi governativi, come la polizia e l’esercito, sono stati tra i pochi a festeggiare il successo contro il Galles. Oltre ovviamente ai loro sostenitori. Un paradosso». In campo, peraltro, appare improbabile che vada in scena un altro gesto altamente simbolico tra le due squadre, come la foto di gruppo scattata in occasione dell’unico precedente tra USA e Iran, ai Mondiali del 1998: «I giocatori, comprensibilmente impauriti, non faranno nulla che non sia concordato con il governo» chiosa Banki.

 

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