Il personaggio

Il piccolo regno del piccolo principe sono Champéry e la sua scuola

Stéphane Lambiel ha il trolley sempre pronto, il serbatoio della macchina sempre pieno e l’agenda sempre fitta di appuntamenti – La medaglia d’argento ai Giochi olimpici di Torino 2006 non sta fermo un attimo e si racconta
Il pattinatore vallesano ama ancora esibirsi sul ghiaccio, ospite di show sia in Svizzera sia all’estero. © Andrea Pavan
Cristina Casari
02.02.2023 06:00

Corre tra una pista e l’altra, tra un aeroporto e l’altro, si occupa della sua scuola e dei suoi allievi, tra sessioni di allenamento sul ghiaccio e in palestra, corsi di balletto e la creazione delle coreografie. Anche le sue. Già. A quasi 38 anni, Lambiel infatti si produce ancora in spettacoli sia in Svizzera sia all’estero, mostrando ancora intatti sia la sua arte sia il suo estro.

Un insegnante creativo

Un creativo, un artista, un insegnante. «Prendendo parte a dei seminari ai quali ero stato invitato in Giappone, in Scandinavia e all’ISU (la Federazione internazionale, ndr) ho capito quanto il mondo dell’insegnamento fosse interessante. Parallelamente, immediatamente dopo il mio ritiro dalle competizioni nel 2010, mi sono occupato delle coreografie di alcuni pattinatori tra cui Denis Ten e Daisuke Takahashi. Non avevo mai veramente pensato alla via dell’insegnamento, ma partecipando ai seminari e facendo le coreografie mi sono reso conto di quanto mi piacesse condividere la mia esperienza con l’atleta, osservare le sue qualità e i suoi punti deboli aiutandolo poi a svilupparsi nel miglior modo possibile». Un’esperienza e una consapevolezza che lo hanno portato a creare una propria scuola. «I Giochi olimpici di Sochi sono stati lo spartiacque. In quell’occasione non vi erano pattinatori a rappresentare la Svizzera nel pattinaggio e ho trovato peccato che, dopo i risultati e i successi ottenuti da Sarah (Meier, ndr) e me stesso, non ci fosse una continuità e poche speranze all’orizzonte. Ho quindi pensato di muovermi in questo senso, aiutando al meglio i pattinatori elvetici della regione, fondando la «Skating School of Switzerland» al Palladium di Champéry nel 2014, dove sono arrivati diversi pattinatori internazionali che volevano lavorare con me ed è stato un grande motivo di orgoglio. Sono un appassionato, e a nove anni dalla sua apertura so che è ciò che vorrò fare nella vita».

Un sogno per i pattinatori

Un piccolo regno per il piccolo principe del pattinaggio, dove sono confluiti, e confluiscono tuttora, alcuni tra i più bei nomi della disciplina. Ma cosa piace a Lambiel dell’insegnamento? «Ho sempre pensato, prima, che allenare fosse una cosa estremamente noiosa, che necessitasse di troppa pazienza e che fosse ripetitivo. Ho invece capito che ogni allievo è differente, che reagisce in modo diverso alle correzioni. Così la relazione che viene a crearsi, che è diversa da allievo a allievo, porta ad un’interazione sempre diversa: l’obiettivo è di costruire qualcosa a lungo termine che possa dare all’atleta tutti i mezzi necessari affinché diventi competitivo, forte mentalmente e fisicamente e che sia sempre felice di praticare questo sport, che chiede molto ma che è magnifico».

Lavoro e disciplina

Condividere la propria esperienza e dispensare consigli senza farne delle piccole fotocopie di sé, è sempre complicato. Il quasi 38.enne vallesano lo sa perfettamente: «Non so che tipo di insegnante io sia, bisognerebbe chiederlo ai miei allievi. L’unica cosa che so per certo è che i valori del lavoro, della disciplina ma anche del piacere, della gioia per ciò che si sta facendo, oltre che essere creativi, sono la base del mio credo. La cosa più importante è che ogni allievo sia libero di lasciare correre la fantasia, di cercare l’ispirazione nelle cose belle - o anche meno belle - della vita e del mondo, per svilupparsi come essere umano e atleta».

Chi sale sulla barca?

Non tutte le ciambelle riescono col buco, però. A volte bisogna scegliere chi far salire a bordo della propria barca e chi lasciare a terra. «Direi che i miei criteri di scelta sono essenzialmente due: la motivazione e la passione. Se un allievo ha entrambe queste qualità sono pronto ad aiutare chiunque».

Con Alexia Paganini (quattro volte campionessa svizzera e quarta ai campionati europei nel 2020) questo non ha funzionato? «Abbiamo collaborato finché è stato necessario farlo e abbiamo fatto un super percorso insieme. Però non era un matrimonio nel quale ci si promette amore eterno e le nostre strade si sono divise. Abbiamo mantenuto un ottimo rapporto e oggi continuo ad aiutarla e sostenerla in qualità di coach nazionale».

Le speranze nelle sue mani

Da tre anni Stéphane Lambiel è colui che si occupa anche dei pattinatori della nazionale svizzera. Il movimento, dopo il suo ritiro e quello di Sarah Meier, ha faticato a risalire la china. «È vero. Ma successivamente abbiamo visto il ritorno di parecchi juniores sulla scena internazionale e con ottimi risultati. I recenti Europei di Espoo ne sono una testimonianza: le medaglie di bronzo di Kimmy Repond e Lukas Britschgi ne sono la prova. Ai giovani dobbiamo dare gli strumenti per progredire e soprattutto credere in loro».

Giri e qualità

In questo senso, in particolare nell’ultimo lustro e mezzo, ai pattinatori si richiede moltissimo: il livello tecnico si è alzato, a discapito - forse - dell’espressione artistica, di cui il pattinaggio porta il nome. «L’innalzamento del livello tecnico esiste, ma la qualità dell’esecuzione diminuisce. Nel senso che si “gira” molto e si vedono più quadrupli di diversa natura, ma troppo spesso la qualità non è di buona fattura. C’è da trovare un equilibrio e il sistema di valutazionedeve ancora migliorare. È anche importante valutare il concetto di quanto proposto, la musica, la coreografia, l’espressione corporale e la generosità del pattinatore nell’esprimersi». Il dibattito è aperto, l’ISU sta apportando dei correttivi con nuovi metri di giudizio.

Fisico in debito d’ossigeno

Il rischio è che gli atleti, nel rincorrere il livello tecnico sempre più alto, si facciano male. «Ogni sport praticato ad alto livello comporta dei rischi per il fisico degli atleti, che lo spingono al limite. Il corpo va preparato gradualmente, anche secondo la crescita dell’atleta: non va bene infatti iniziare troppo presto con esercizi complessi, perché il fisico si evolve e finché non ha raggiunto la piena maturità correre rischi è pericoloso, anche per il morale. Tirare la corda non va bene. Inoltre, anche la scelta del materiale è importante, i pattini di oggi sono troppo leggeri e di pessima qualità. Sarebbe opportuno tornare su scarpe che permettano un pattinaggio più naturale; ho come l’impressione che quelle attuali permettano di “girare”, ma di farlo in modo impreciso e senza qualità».

Peter Grütter, l’ispiratore

Stéphane Lambiel è diventato un modello per i suoi allievi, molti dei quali quando lui gareggiava non erano magari nemmeno nati. Ma qual è stata la sua fonte d’ispirazione? «Ho avuto la fortuna di lavorare con parecchie persone che mi hanno ispirato, tra cui Salomé Brunner e Alexei Mishin. Ma il numero uno è senz’altro il mio coach storico, Peter Grütter. È un appassionato, il pattinaggio gli scorre nelle vene e a 80 anni ancora viene ad insegnare tutti i mercoledì pomeriggio nella mia scuola, condividendo con gli allievi il suo grande amore per questo sport».